Quando il tribunale di Vallo fu soppresso davvero

Dopo esserci occupati dell’inaugurazione della nuova sede nel dicembre 1969, torniamo a parlare del tribunale vallese con uno sguardo retrospettivo, ricostruendo il momento più difficile della sua lunga, e per nulla tranquilla, vita: la soppressione subita nella prima metà degli anni Venti dello scorso secolo. Giusto cent’anni fa, ad agosto, entrava in vigore quel provvedimento da tutti avvertito come ingiusto.

Col decreto n. 602, 24 marzo 1923 del ministro Oviglio, Guardasigilli del primo governo Mussolini, in carica da appena cinque mesi, si dispone la soppressione di diversi tribunali nel quadro di un complessivo riassetto delle circoscrizioni giudiziarie del Mezzogiorno. Tra essi è compreso anche quello di Vallo, la cui circoscrizione – in base allo stesso provvedimento – è accorpata a quella del tribunale di Salerno a partire dal successivo 1° agosto. A guardar bene, il provvedimento interessa solo alcune regioni. Le sedi soppresse, infatti, sono, oltre alla nostra, quelle di Isernia, Larino, Sala Consilina, S. Angelo dei Lombardi e Ariano di Puglia.

Diciamo subito che, nonostante la collocazione temporale, quel decreto non è frutto del fascismo. Non lo è, nel senso che quella soppressione non è l’effetto della politica autoritaria e della volontà accentratrice tipica di quel regime, ma risponde a un’esigenza di ridefinizione e semplificazione delle strutture territoriali che amministrano la giustizia già emersa nel periodo liberale. Ne troviamo traccia a novembre del 1921 (quindi, circa un anno prima della “marcia su Roma”), quando il consiglio comunale di Vallo, paventando la soppressione di cui si discuteva alla Camera nell’ambito di una serie di tagli, aveva deliberato di scrivere all’apposita commissione parlamentare per chiedere di evitare che quel provvedimento investisse anche il locale tribunale.

Il progettato riassetto, però, va in porto solo grazie all’accelerazione impressa all’azione politica dal governo Mussolini nei suoi primi mesi di attività. Quel governo, ancora di coalizione, sullo slancio della fiducia ottenuta a novembre ’22 e nel quadro di un programma avente come finalità uno snellimento amministrativo e la riduzione della spesa pubblica, approva diversi provvedimenti incagliatisi in precedenza nel dibattito parlamentare.

Il fascismo – quello “vero”, quello avviatosi dagli inizi del ’25 sulla strada del regime autoritario – manterrà in vigore il provvedimento, facendo di quella soppressione un elemento della sua politica accentratrice e di controllo della giustizia.

Vistasi privata del suo più importante ufficio pubblico, la nostra cittadina non rimase a guardare. La sua classe dirigente, in gran parte costituita proprio da avvocati, si attivò per scongiurare la soppressione del tribunale e, una volta entrato in vigore il decreto, per ottenerne il ripristino. La sua fu un’azione continua ed insistente, benché infruttuosa, almeno nel breve periodo. Ma testimoniò della sua vitalità e di una caparbietà che solo chi conosceva ed aveva esperienza della tradizione civile sviluppatasi attorno a quel tribunale poteva avere.

I danni di quella soppressione erano molteplici. Spariva il simbolo di quello che Vallo era stata nell’Ottocento e, se a quella del tribunale si associa la soppressione della sottoprefettura, avvenuta nel ’26 (ma in questo caso si tratta di un provvedimento generale e definitivo, riguardante l’intero Paese), si ha il quadro completo del ridimensionamento di quella centralità territoriale che era, al tempo stesso, amministrativa, economica e sociale; ridimensionamento che apparve allora come una vera e propria perdita, un colpo immeritato e decisivo inferto alle pretese della sua classe dirigente di essere il motore della vita civile locale. Dirottato su Salerno il flusso degli utenti dell’ufficio giudiziario, Vallo perdeva le risorse generate da quelle presenze che vi convergevano tradizionalmente da decenni. A ciò si aggiungeva anche lo spostamento degli studi professionali degli avvocati, costretti ad operare sulla piazza del capoluogo provinciale. Non tutti lasciarono Vallo, ma tutti aprirono studio anche a Salerno.

La prima e più eclatante delle azioni di dissenso è messa in atto pochi giorni dopo l’emanazione del decreto. Con data 30 marzo 1923, amministratori e notabili locali inviano a Mussolini una lunga lettera per scongiurare l’applicazione di quanto disposto dal provvedimento governativo. Il testo è pubblicato, con grande evidenza, il successivo 15 aprile, su “La voce del Cilento”, un combattivo giornale locale diretto proprio da un avvocato, Tommaso Cobellis. Vi sono esposte le ragioni storiche, geografiche, economiche che – a detta dei sottoscrittori – deporrebbero a favore del mantenimento del tribunale vallese. Vi si chiede, in particolare, la sospensione del decreto e lo svolgimento di un’ispezione governativa per riesaminare la situazione, nel convincimento che sia stato compiuto un errore di valutazione per un difetto di conoscenza delle condizioni locali. Si offre anche una soluzione di compromesso:

Quanto meno invochiamo che una sezione del Tribunale di Salerno rimanga nella sede di Vallo … In tal modo, l’interesse economico che la riforma intende salvaguardare, e gl’interessi della regione colpita dalla soppressione verrebbero ad armonizzarsi … Guadagnerebbe, per contro, lo Stato sulle trasferte dei testimoni e dei funzionari; guadagnerebbero i cittadini sul disagio economico, morale e sociale, che la soppressione importa e non sarebbe automaticamente soppressa una classe, la classe degli Avvocati, i quali nella grande guerra … dettero primi nelle linee gran contributo di sangue, in confronto alle altre classi di professionisti, professionalmente imboscati”.

Al di là di quest’ultimo punto, che faceva un po’ l’apologia dell’avvocatura (ma siamo a cinque anni dalla fine della Prima guerra mondiale e far mostra di sano patriottismo dinanzi a un governo che intendeva valorizzare i frutti di quella vittoria è d’obbligo, indipendentemente dal reale sentimento degli avvocati locali), le richieste apparivano fondate e dotate di buon senso, dal momento che si cercava di cogliere anche quell’esigenza di risparmio perseguita dallo Stato e che aveva presieduto alla riforma. Proprio per questo, negli stessi giorni, il consiglio comunale di Vallo aveva deliberato che, in caso di permanenza della sede giudiziaria, l’amministrazione locale avrebbe rinunciato al canone di locazione e si sarebbe fatta carico anche delle spese di manutenzione dei locali. Forte delle ragioni esposte e della buona volontà dimostrata, la classe dirigente locale confidava nel nuovo governo e, pur non essendo ancora del tutto fascistizzata, dava segni di devozione verso il suo capo.

Seconda pagina de La Voce del Cilento, 15 aprile '23
Seconda pagina de La Voce del Cilento, 15 aprile ’23

Le firme in calce a quella lettera sono esemplificative dell’impegno di tutto il notabilato vallese. Il primo sottoscrittore è il sindaco Gaetano Passarelli, seguito dal presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, Giuseppe Scarpa De Masellis, dal presidente del Consiglio di disciplina dei procuratori, Giuseppe Ippoliti, dal consigliere provinciale, Armido Rubino, dal delegato circondariale del Fascio, Eligio Rubino, dal delegato circondariale dell’Associazione mutilati ed invalidi, Pasquale Pinto, e dal presidente dell’Associazione combattenti, Pasquale Lebano.

Ad eccezione dei Rubino, padre e figlio, entrambi medici, e del sindaco, gli altri quattro firmatari sono esponenti dell’avvocatura locale, che è, naturalmente, la più interessata e coinvolta dalla vicenda.

Il dott. Rubino (da Il Vigile, 19 luglio 1914)
Il dott. Rubino (da Il Vigile, 19 luglio 1914)
L'avv. Giuseppe Scarpa De Masellis (da La voce del Cilento, 21 dic. 1924)
L’avv. Giuseppe Scarpa De Masellis (da La voce del Cilento, 21 dic. 1924)

Non abbiamo notizie di eventuali risposte alla lettera-appello di marzo, ma a maggio l’avv. Cobellis scrive sul suo giornale:

Il memoriale della cittadinanza, il doloroso appello rivolto al governo è rimasto senza alcuna risposta, almeno fino a questo momento. … Facciamo almeno la conoscenza con i nostri governanti, sentiamo almeno dalle loro labbra una risposta qualsiasi, tentiamo almeno di ottenere con certezza qualche compenso. Esiste Vallo della Lucania? Esiste una regione denominata Cilento? Molte carte geografiche d’Italia forse non registrano neppure questi disgraziati paesi. È il momento di mostrare almeno, che noi facciamo parte della nazione italiana … Gli antichi geografi per indicare sulle carte paesi sconosciuti scrivevano: Hic sunt leones! Auguriamoci che non succeda la medesima cosa per i nostri paesi non solo, ma anche per l’intero Mezzogiorno d’Italia”.

Il mese seguente, il sindaco e due rappresentanti del Foro vallese si recano a Roma per conferire col ministro Oviglio ed esporgli a voce ciò che probabilmente si riteneva lo scritto non fosse riuscito a chiarire. Intanto, sempre a giugno, si tiene a Napoli un incontro tra i rappresentanti delle amministrazioni comunali e dei consigli forensi delle sei città interessate dalla soppressione, promosso dalla Federazione nazionale forense di Roma. Per Vallo, ci sono il sindaco Passarelli, Giuseppe Scarpa De Masellis, Tommaso Cobellis e l’avv. Domenico De Nicolellis. Il risultato dell’incontro è la presentazione di una petizione alla Camera e al Senato con la quale si chiede il ripristino dei tribunali soppressi.

La petizione raggiunge il suo scopo, almeno parzialmente. La commissione parlamentare competente accoglie le richieste e sospende il decreto di soppressione, rinviando all’aula la decisione definitiva.

Seconda pagina de La Voce del Cilento, 4 agosto 23
Seconda pagina de La Voce del Cilento, 4 agosto 23

È una vittoria, ma solo parziale. Lo scioglimento della Camera, in seguito all’approvazione della legge elettorale maggioritaria voluta da Mussolini, e le vicende successive (elezioni, omicidio Matteotti, “Aventino” delle opposizioni parlamentari, svolta autoritaria) rinviano sine die la soluzione.

Non si pensi, però, che a Vallo ci si arrenda. Tutt’altro! Dopo il 3 gennaio ’25, approfittando del rimpasto governativo e della sostituzione di Oviglio con Alfredo Rocco al ministero di Grazia e Giustizia, il locale gruppo dirigente torna all’attacco.

Stavolta è la sezione vallese del partito fascista ad approvare, nel corso di una riunione svoltasi a febbraio del ’25, un ordine del giorno col quale si chiede al nuovo guardasigilli il ripristino del tribunale e un riesame dei provvedimenti sul riordinamento giudiziario. Al termine dell’incontro, si inviano due telegrammi a firma del segretario politico della sezione, Giuseppe Passarelli, e del sindaco di Vallo, Gaetano Passarelli; uno a Mussolini, l’altro al ministro Rocco.

Significativo è che l’iniziativa veda unita la dirigenza fascista e l’amministrazione comunale, nella quale solo alcuni esponenti sono già schierati col partito di governo. Lo stesso sindaco, pur avendo appoggiato – più per obbligo, e in seguito alle pressioni del sottoprefetto, che per convinzione – il “listone” fascista alle elezioni dell’anno precedente, non è un fascista ma un notabile liberale. In questa fase, uno dei tanti fiancheggiatori che il partito di governo annovera tra il notabilato meridionale.

Gaetano Passarelli nel 1910 (foto C.Cerone, Un secolo di luce nel Circondario di Vallo della Lucania, CGM, 2013)
Gaetano Passarelli nel 1910 (foto C.Cerone, Un secolo di luce nel Circondario di Vallo della Lucania, CGM, 2013)

Qualche settimana dopo, il prefetto di Salerno comunica al sottoprefetto di Vallo le reazioni della Presidenza del Consiglio a quel telegramma: il ministro, interpellato dalla presidenza, aveva rilevato la impossibilità “per il momento” di ripristinare il tribunale, “dato il carattere definitivo dell’ordinamento giudiziario circoscrizionale andato in vigore con l’ultima riforma”, e che solo una sua futura revisione avrebbe consentito il riesame del caso particolare.

Doveva essere il colpo decisivo alle speranze del ripristino, ma a Vallo quella risposta viene interpretata in chiave possibilista. In un suo articolo di febbraio, sempre su “La voce del Cilento”, l’avv. Cobellis scrive:

Il fu ministro Oviglio dovette riconoscere che la riforma delle circoscrizioni giudiziarie non rispondeva al fine prefisso; ma poco dette a sperare, perché è più dolce per alcuni sorbire la cicuta anzi che correggere il proprio errore. Il neo ministro di giustizia ha, invece, promesso che, in un prossimo rimaneggiamento, saranno tenuti in considerazione gli interessi delle varie regioni: riconoscendo che il terremoto giudiziario non avrebbe dovuto per nulla colpire il Mezzogiorno d’Italia. Speriamo bene: e questa promessa noi teniamo come un impegno del Ministro di Giustizia”.

A giugno dello stesso anno (1925), una nuova commissione locale si reca a Roma. È composta dal segretario del fascio, dall’avv. Filadelfo de Hippolitis, ex sindaco di Vallo, e dall’avv. Raffaele Nicoletti, assessore comunale in carica. Il suo compito è di conferire col ministro e, se possibile, col capo del governo. La delegazione si appoggia sulla mediazione dell’on. Roberto Cantalupo, uno dei referenti politici locali, sottosegretario alle Colonie, e, soprattutto, vicino ad Alfredo Rocco per la comune passata militanza nel partito nazionalista. Non sappiamo se siano riusciti a parlare anche con Mussolini, ma l’interlocuzione col guardasigilli lascia presagire possibili sviluppi positivi alle loro richieste.

L'avv. Tommaso Cobellis (da T. Cobellis, La voce del Cilento, Beraglia, Sa, 1927)
L’avv. Tommaso Cobellis (da T. Cobellis, La voce del Cilento, Beraglia, Sa, 1927)

Quegli sviluppi, però, non sarebbero arrivati e, da quel momento, la richiesta di ripristinare il tribunale sarebbe divenuta un leitmotiv della vita politico-amministrativa locale.

Solo due anni dopo, il Municipio vallese cura la stampa di un volumetto dal titolo emblematico: Per il ripristino del soppresso tribunale di Vallo della Lucania. Edito dalla locale tipografia Spera e scritto nella forma di una lunga lettera al ministro della Giustizia, il testo è firmato dal primo podestà di Vallo, l’avv. Luigi Scarpa De Masellis, figlio di quel Giuseppe che era stato il decano e il presidente dell’ordine forense locale.

La lettera è un’articolata perorazione in favore del tribunale, che riprende molti degli argomenti già esposti nel ’23 e nel ’25: dalle ragioni topografiche e storiche (Vallo centro di una vasta regione) a quelle economiche e di risparmio per l’erario (Vallo motore pulsante del circondario per il mercato, i commerci, le strade; le mancate economie conseguite con la soppressione); dalle ragioni derivanti dall’amministrazione della giustizia (col sovraccarico di lavoro determinatosi per il tribunale di Salerno) a quelle di natura politica. Queste ultime, in particolare, appaiono assai interessanti per capire il clima:

Vallo della Lucania – scrive il podestà – ha tradizioni di luminoso patriottismo. Nel periodo rosso non ha dato ai sovversivi né un consenso, né un uomo. Nell’avvento fascista ha dato al Duce tutti i suoi voti senza dubbi od incertezze; … E nel periodo quartarellista, Vallo della Lucania non ha tentennato: nel 1924 il numero degli iscritti al Partito è aumentato del doppio. … Ed oggi Vallo della Lucania è più che mai fascista; fascista nell’animo, nella fede, negli atti della volontà!

Naturalmente, sono parole che vanno soppesate in rapporto al contesto e al ruolo svolto dal podestà in un sistema politico che è già diventato autoritario, fortemente gerarchico e ideologizzato (siamo nel ’27). Questo spiega l’orgogliosa rivendicazione di fascismo e il tono retorico. Il “periodo quartarellista” fa riferimento all’estate del ’24 quando, in seguito al ritrovamento del cadavere di Matteotti nel bosco della Quartarella, presso Roma, il 16 agosto, iniziò una grave crisi per il governo e il partito fascista, con denunce e abbandoni. Non aver tentennato in quei mesi è dunque – agli occhi del podestà – la miglior prova di fedeltà.

Nonostante lo sforzo prodotto – il volume è corredato da diverse tabelle volte a dimostrare la veridicità delle argomentazioni – e l’ossequio mostrato, neanche stavolta si ottiene un risultato concreto.

Il volume, però, viene ripubblicato cinque anni dopo, ampliato e ulteriormente “fascistizzato”. L’occasione è offerta dal cambio al ministero. A luglio del ’32, infatti, il nuovo Guardasigilli è Pietro De Francisci ed è a lui che il podestà del comune di Vallo, ancora Scarpa De Masellis, si rivolge con la nuova, e vecchia al tempo stesso, richiesta di ripristino.

Copertina dell'opuscolo pro tribunale del '32
Copertina dell’opuscolo pro tribunale del ’32

La pubblicazione, in entrambi i casi, fu inviata al ministero ed è probabile che si sia cercato di farla portare da delegati locali e di ottenere in qualche modo un’interlocuzione diretta anche utilizzando la mediazione di politici di riferimento.

Non ne abbiamo notizie sicure, ma non ci stupiremmo nell’apprendere che la classe dirigente locale, con la sua caparbietà, abbia approfittato di ogni cambio di ministro per far tornare a galla e dare visibilità alla propria richiesta di riavere il tribunale nel quadro di quel rimaneggiamento delle circoscrizioni giudiziarie promesso nel ’25. D’altronde, i rimpasti governativi voluti da Mussolini sono abbastanza numerosi in questi anni. Alla Giustizia, dopo Oviglio, Rocco e De Francisci, si avvicendano Arrigo Solmi, dal ’35, e Dino Grandi, dal luglio ’39. Chissà se anche a costoro arrivò notizia della mai sopita volontà di quella classe di ottenere – è il caso di dirlo – giustizia.

Come finisce questa storia? Solo la caduta del fascismo e l’arrivo degli Alleati in paese determina la svolta. Già a ottobre del ’43, gli angloamericani sono a Vallo e, nel convulso cambio di regime, l’amministrazione del Comune passa prima nelle mani dell’avv. Francesco Castiello e poi, a dicembre dello stesso anno, in quelle del dott. Luigi Cobellis. L’avvocatura locale può finalmente adoperarsi per ottenere il tanto sperato ripristino e lo ottiene agli inizi del ’44. Il Comando alleato ricostituisce il tribunale a Vallo come sezione distaccata di quello salernitano. In particolare, il merito va al tenente americano John Barden, capo degli affari civili del Governo provinciale alleato di Salerno. A lui, a gennaio di quell’anno, una delibera del commissario prefettizio Cobellis conferisce la cittadinanza onoraria di Vallo proprio per questo motivo.

La prima sede del ricostituito tribunale di Vallo (foto prima meta anni ’50)
La prima sede del ricostituito tribunale di Vallo (foto prima meta anni ’50)
Comando Militare Alleato di Vallo, ottobre ’43. (da L. Calza, Vallo Della Lucania e il Cilento meridionale nel settembre del 1943, Vallo, 2011)

Il cerchio si chiude definitivamente nel ’47, quando il tribunale torna ad essere autonomo. La sua sede, fin dalla ricostituzione, non è più l’antico convento dei Domenicani annesso alla chiesa di S. Maria delle Grazie, nel quale intanto erano stati impiantati il liceo-ginnasio “Parmenide” e il convitto municipale, ma l’ex conservatorio di S. Caterina, del quale occupa l’intero secondo piano. Rimarrà lì fino al 1969, quando sarà inaugurato in pompa magna il nuovo tribunale, il primo appositamente costruito. Dell’evento, vi abbiamo già parlato.

Author: manlio morra

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