6 dicembre 1969: un giorno di festa (e di timore) per la giustizia nel Cilento

È uno dei motivi di orgoglio per noi vallesi e, direi, per ogni cilentano. La centralità svolta dalla nostra cittadina è imperniata anche sulla ormai più che secolare sua presenza. Ha inciso in maniera decisiva sulle dinamiche di enucleazione sociale e formazione professionale del locale ceto dirigente. Ha rappresentato, pur nel cambio dei regimi politici, un presidio istituzionale e di legalità.

Sto parlando del tribunale, vero motore di una parte cospicua delle vicende storiche di Vallo e del territorio circostante negli ultimi due secoli. Nato in epoca ancora risorgimentale, rafforzato in età liberale, soppresso dal fascismo e ricostituito alla sua caduta, esso appare da sempre l’oggetto di una sorta di dialettica centro/periferia che lo ha fatto, di volta in volta, ritenere – appunto – centrale per un’area marginale come il Cilento o periferico rispetto ad altre più popolose e prestigiose sedi. Quindi, nel primo caso, necessario per garantire la presenza di uno Stato per altri aspetti assente; nel secondo, sacrificabile alle esigenze di risparmio burocratico e riassetto amministrativo. Considerazioni determinate dal punto di vista dell’osservatore, cioè del decisore politico.

Nel corso del tempo, ha avuto varie sedi ma solo alla fine degli anni Sessanta del Novecento è stato finalmente collocato in una struttura adeguata, appositamente costruita per amministrare la giustizia. Quella struttura oggi ospita altri uffici pubblici, essendosi realizzata, agli inizi degli anni 2000, una nuova e più ampia sede, una vera e propria cittadella giudiziaria; ma quello della sua inaugurazione fu un giorno di festa per le istituzioni e la comunità locale.

Uno sguardo all’atmosfera e ai discorsi di quel 6 dicembre 1969 ci offre uno squarcio di questa storia, aiutandoci a capire le emozioni e i timori di quel giorno.

Tra autorità e semplici cittadini, c’era una gran folla a partecipare all’evento. Tutti erano curiosi di vedere le aule del monumentale edificio progettato e costruito dall’ing. Francesco De Vita, la cui facciata principale si apriva sulla piazza dedicata ai martiri del 1828 (Piazza dei Martiri, appunto) mentre su un lato si appoggiava quasi sulla costruzione adibita a scuola elementare voluta dal fascismo circa quarant’anni prima. Molta di quella curiosità, però, era rivolta anche all’ospite d’onore, una vera celebrità, un mostro sacro dell’avvocatura italiana dalla lunga vita professionale e dalla complessa e controversa vita politica: il prof. Alfredo De Marsico.

Deputato fascista durante l’intero Ventennio, ministro di Grazia e Giustizia nell’ultimo governo Mussolini (febbraio-luglio ’43), schieratosi a favore della mozione Grandi nella tragica seduta del Gran Consiglio del 25 luglio ’43, condannato a morte in contumacia nel processo di Verona del successivo gennaio ma scampato all’esecuzione perché rifugiatosi nella Salerno liberata, De Marsico nel dopoguerra era stato epurato dall’università e dalla professione, ma poi riammesso e divenuto negli anni Cinquanta senatore del partito monarchico. Proprio a Vallo, alle elezioni politiche del ’53 aveva ricevuto un grande consenso pari ad oltre il 42% dei voti. Preferenze in larga misura personali, più che monarchiche o legate a nostalgie fasciste. Da allora, forti erano rimasti i suoi legami con l’ambiente locale e, in particolare, con l’avvocatura. Era il maestro dell’allora presidente dell’ordine degli avvocati di Vallo ma anche qualcosa di più al punto da chiamarlo – nel suo discorso – “il mio amico, il mio figlio spirituale, Giovanni Sofia”.

Oltre al vescovo D’Agostino, era stato invitato anche il ministro di Grazia e Giustizia, Silvio Gava, che, però, impossibilitato ad essere presente, veniva rappresentato dal sottosegretario alle Poste, Bernardo D’Arezzo, e dall’on. Mario Valiante. Tra le autorità anche il presidente del locale tribunale, Riccardo Della Corte, e il procuratore della repubblica, Giacomo Isnardi.

Naturalmente, tutti lodavano l’iniziativa di dare finalmente una vera sede a un tribunale che negli ultimi 25 anni era stato ospitato in una parte dell’ex conservatorio di S. Caterina, con notevoli disagi e crescenti problemi logistici. La nuova sede non si limitava, con la sua spaziosità, a risolvere tali problemi, ma conferiva anche un adeguato decoro e la dovuta solennità all’esercizio della giustizia. Era, in particolare, il sindaco Di Giacomo a sottolineare l’impegno della sua maggioranza per l’opera, ma anche quello di chi lo aveva preceduto nella responsabilità amministrativa del Comune. Più chiaro, al riguardo, l’avv. Sofia, per il quale, tra gli altri, il plauso era dovuto “all’Amministrazione Rinaldi che la volle ed a quella attuale Di Giacomo, che si sono prodigate perché l’opera divenisse realtà”.

L’idea della nuova sede, dunque, risaliva almeno agli anni Cinquanta quando il prof. Nicola Rinaldi era diventato sindaco di Vallo per la prima volta (1956), rimanendo poi in carica quasi ininterrottamente nel successivo decennio. Infatti, solo verso la fine del ’67 la crisi della sua maggioranza lo aveva costretto alle dimissioni.

Anche la consolidata tradizione cui il tribunale aveva dato luogo nei decenni era rimarcata da tutti gli intervenuti. Se l’avv. Sofia sottolineava il valore dei magistrati e degli avvocati che vi avevano operato e la fiducia ripostavi dalla popolazione gravitante su Vallo, ricordando le figure di quanti lo avevano preceduto nel ruolo di presidente del Consiglio dell’Ordine (“da Covoni a de Hippolitis, da Palumbo a Scarpa De Masellis”), il procuratore Isnardi poneva l’accento sul ruolo svolto dal tribunale per la popolazione, essendo uno dei fattori che ne avevano permesso il progresso e l’uscita da un lungo isolamento.

Queste considerazioni aprivano il discorso della temuta soppressione. Ci è sembrato – esordiva il sindaco – che “si stia considerando l’opportunità di proporre la soppressione di circa quaranta Tribunali periferici ove l’indice di lavoro non raggiungerebbe quello unitario previsto dall’organico”. Era, infatti, allora in corso il dibattito sulla “crisi della giustizia”, come oggi (e come sempre nel nostro Paese). Per Di Giacomo, quella crisi non poteva essere affrontata come mero affare burocratico, essendo invece “un problema grave e complesso” da risolvere “con la riforma dei codici, con un adeguato organico dei Magistrati e del personale ausiliario, con la realizzazione di Sedi Giudiziarie decorose”. Ma – continuava – “in questo campo è valido il principio del decentramento che comporta l’effettiva saldatura delle forze operanti in uno Stato democratico”. E chiudeva perorando la causa del tribunale locale: Vallo “attende con piena fiducia … l’approvazione di un nuovo ordinamento giudiziario che tenga giustamente conto della legittimità della presenza nel Paese dei Tribunali periferici ove, più che in altre sedi, quotidianamente, lo Stato e il cittadino più umile e bisognoso si incontrano”.

Gli faceva eco l’on. Valiante sostenendo che “Vallo ha avuto legittime preoccupazioni negli anni passati e ancora nei mesi recenti, quando … è corsa la voce che il Tribunale di Vallo, come Tribunale di periferia, come Tribunale che probabilmente non assomma numeri alti di provvedimenti, poteva correre il rischio della soppressione. Sono lieto che questa preoccupazione possa considerarsi infondata e alcuni amici hanno avuto l’occasione recentemente di averne autorevole conferma, proprio da parte di quei responsabili del Ministero di Grazia e Giustizia che avrebbero pensato a provvedimenti del genere”.

Rassicurando i presenti circa quelle voci, il deputato democristiano si diceva convinto che la “crisi della giustizia” non poteva essere affrontata con dei tagli, perché “l’amministrazione della giustizia ha anche necessità di essere facilmente accessibile ai cittadini. Cinquantuno Comuni, che rappresentano 150 e più mila abitanti, non possono essere trascurati per fredde convenienze di ordine burocratico”. Infine, nella sua qualità di membro della Commissione giustizia della Camera, informava su quella riforma dei codici ritenuta lo strumento più importante per affrontare i problemi della giustizia italiana: “Il codice di procedura penale, che dovrà assicurare un nuovo processo penale al Paese, già approvato dalla Camera dei Deputati, è attualmente all’esame del Senato della Repubblica e procede speditamente … Ma sono avanti ormai le riforme degli altri codici, del codice penale, del codice di procedura civile, mentre nel campo del diritto civile è in preparazione una larga riforma del diritto di famiglia, oltre alla riforma di tutta la parte più strettamente commerciale”.

Dunque, anche per lui intervenire sui codici e non sui tribunali periferici era il modo migliore per rendere la giustizia vicina alla società. Intervento che garantiva anche la difesa del tribunale vallese. Dal canto suo, l’avv. Sofia aggiungeva con fermezza e in nome di tutta l’avvocatura locale che “il Foro di Vallo rifiuta di credere che si possa discutere di soppressione del Tribunale in un’epoca in cui si parla di decentramento, in un’epoca in cui i grossi uffici, le grosse fabbriche soffrono di elefantiasi e non riescono a disimpegnare e smaltire l’oneroso e gravoso lavoro che incombe”. E invitava tutte le autorità presenti a fare in modo che la “bandiera della Giustizia” non venisse mai ammainata su quel nuovo edificio perché “sarebbe opera cieca ed ingiusta per non dire offensiva”.

La sintesi della giornata, dei temi, delle memorie e dei problemi evocati dai relatori, era affidata a De Marsico, al quale l’Ordine degli avvocati locale conferiva “la chiave d’oro dell’Edificio” del nuovo palazzo di giustizia, iscrivendolo ad honorem nell’Albo degli avvocati e nominandolo presidente onorario del Consiglio forense di Vallo.

L’insigne giurista accettava l’onore fattogli dai colleghi e si assumeva l’impegno di essere una sorta di “guardiano della giustizia” e quindi anche di difensore della nuova sede appena inaugurata. Tutto il suo discorso era costruito con abile e sapiente retorica ed incentrato sul tema di quella “ideale guardiola” nella quale lo aveva collocato l’avvocatura locale.

Così, mostrando di conoscere bene l’ambiente e le vicende locali, richiamava alla memoria “quegli atleti della toga” che avevano operato a Vallo. “Ricordo – esordiva – Federico Covone, civilista insigne, che esercitò fino ad età veneranda; Filippo e Raffaele Palumbo maestri anch’essi del diritto privato; Francesco Cobellis, oratore affascinante; Tommaso Cobellis, umanista ed avvocato di altissima statura; Filadelfo de Hippolitis dall’oratoria impetuosa e vibrante; Giuseppe Scarpa De Masellis, il genitore illustre di un figlio quanto lui illustre, cui abbiamo qui la fortuna di poter inchinarci, simbolo più che esponente di questa curia; Giuseppe Scarpa, procedurista e civilista formidabile, precursore nella sottigliezza e chiarezza dei suoi mezzi di coloro che nella procedura cercano spesso la via della giusta vittoria; Domenico De Nicolellis cultore ugualmente insigne delle lettere e del diritto”.

I suoi ricordi formano una galleria di personaggi che appartenevano alla storia di quel tribunale, del quale avevano contribuito a formare una solida e ricca tradizione, e che erano stati parte importante della locale classe dirigente.

A quegli avvocati aggiungeva anche i magistrati: “Non posso anzi tutto tacere il nome di un antenato dell’attuale Presidente di questo Consiglio dell’Ordine, Giuseppe Maria Sofia che fu Procuratore Generale alla Corte Suprema di Cassazione e poi Giacomo Ebner, che io conobbi ed ammirai non solo nel suo ufficio di Pubblico Ministero nelle aule della Corte Suprema, ma seguii e studiai nelle non poche manifestazioni anche della sua attività dottrinale … E con loro Ernesto Stasi, Nicola Scorzelli, Angelo e Vittorio Gallo, Giuseppe Santoro, tutti Consiglieri di Cassazione”.

Con consumata abilità retorica ma anche come sincera attestazione di stima, passava a salutare anche i presenti. Primi tra tutti, il già citato avvocato Luigi Scarpa De Masellis, “maestro e collega esemplare”, “condottiero presente all’anima, agli occhi, alla mente dei vostri colleghi, tutti vostri discepoli”; e il “carissimo avvocato Pasquale Pinto, al quale mi legano … ricordi della giovinezza lontana personali e familiari”. Non a caso, si può notare che si trattava di due dei tre podestà che avevano amministrato Vallo durante il fascismo e la cui conoscenza doveva risalire a quei tempi. Ciò testimonia che anche il regime fascista dovette attingere alla principale componente della classe dirigente locale, quella degli avvocati, numerosi proprio per la presenza del tribunale.

E saluterò – continuava nella sua captatio benevolentiaecontemplando la lunga strada dei loro successi, Lorenzo Lentini, e il figlio Alessandro, e Giovanni de Hippolitis, fervido, esuberante, e tra i civilisti, austeri cultori della loro disciplina, Dante Di Sevo, Francesco Castiello, Giovanni Bianco, Giuseppe Di Vietri, e accompagnerò te, Giovanni Sofia con quel palpito profondo di affetto che tu conosci.

Il lungo elenco di nomi e di meriti non era soltanto esercizio di memoria, per quelli passati, e di retorica, per i presenti, ma era per lui anche un modo di dimostrare “di quanta insostituibile utilità siano questi tribunali che si chiamano da taluni, per farsi notare, tribunali periferici”. In altri termini, anche De Marsico riteneva che la “crisi della giustizia” non fosse “un problema di edifici e di personale” ma di “orientamento legislativo”.

Soppressione dei tribunali, si dice. E si dice cosa incauta. Perché, il primo dovere di tutti i regimi, di tutti gli ordinamenti politici, è che la giustizia sia vicina a coloro che ne hanno bisogno. … Ma io guardo alla conservazione e alla tutela dei tribunali anche di modesta circoscrizione territoriale, come ad una componente tra le più sicure ed efficaci della creazione o della conservazione di una struttura civile della vita collettiva. La giustizia deve essere soprattutto una scuola del costume morale e coloro che, per convenienze di bilancio, credono di potere e di dover ridurre il numero dei tribunali, si ingannano, perché le economie che essi realizzerebbero in questo settore, sarebbero superate invece dalla enormità dei mezzi che lo Stato dovrebbe profondere per impedire le conseguenze dello spegnersi di questi focolari della convivenza morale, che sono i tribunali”.

Insomma, l’istituzione “tribunale”, il lavoro dei magistrati, la presenza attiva degli avvocati erano – e sono – un presidio di legalità, di civiltà, di umanità. Al di là della retorica, che a noi può apparire pesante e ridondante ma che corrispondeva alla tradizione dei grandi giuristi, maghi della parola e costruttori di arringhe memorabili, le parole di De Marsico su questo tema sono sottoscrivibili anche oggi.

 Alfredo De Marsico durante il suo discorso
Alfredo De Marsico durante il suo discorso
L'avv. Sofia, a sinistra, e il prof. De Marsico, a destra (da Giovanni Sofia. L'attualità e la modernità di un grande Avvocato, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vallo della Lucania 2005).
L’avv. Sofia, a sinistra, e il prof. De Marsico, a destra (da Giovanni Sofia. L’attualità e la modernità di un grande Avvocato, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vallo della Lucania 2005).

Il suo discorso si dilungava su una serie di altre tematiche più o meno attuali ed avvertite come importanti soprattutto dalla platea di operatori del diritto che lo ascoltava con ammirazione, spesso applaudendo alle affermazioni più condivise. Su di esse sorvoliamo per chiudere con le sue stesse conclusioni.

Io sono – lasciatemelo dire – un po’ anche vostro. Un momento della mia vita v’è stato, in cui questo popolo mi diede la testimonianza ufficiale della sua fiducia per un mandato politico. In quel momento voleste qualche cosa di più della ammirazione per il Cilento doverosa per chiunque pensi al sangue sparso sull’area scelta per questa costruzione da un pugno di eroici martiri per l’unità italiana: voleste che nascesse la gratitudine. Nacque, crebbe, vibra oggi, vibrerà sempre in me, che pongo fra i titoli maggiori del mio orgoglio, il vostro suffragio di allora. Ve lo riesprimo in questo istante, augurandovi, con cuore di riconoscente, che nelle fiere vicende del domani voi siate le avanguardie alla vittoria e la Patria Vi additi e proclami gli artefici più certi del suo incrollabile destino”.

Il richiamo alle elezioni politiche del ’53, cui abbiamo accennato in precedenza, offriva l’occasione per chiudere in bellezza, con un tono crescente di esaltazione/adulazione dei presenti e del territorio. Non a caso, la cronaca rimarca con enfasi che quella chiusa fu seguita da “applausi scroscianti e interminabili”.

La nuova sede del tribunale avrebbe funzionato per circa quarant’anni e De Marsico poté esserne a lungo quel “guardiano ideale” che si era proposto di essere, morendo nel 1985 a novantasette anni. I timori della sua soppressione – peraltro, paradossalmente emersi proprio nel giorno in cui si inaugurava la nuova sede – rimasero in piedi, divenendo una sorta di leitmotiv della sua esistenza. Forse perché nessuno aveva dimenticato che quel tribunale, un giorno, era stato soppresso davvero. Ma di questo parleremo in una prossima puntata.

Tutti i testi e le foto sono tratti da Inaugurazione del nuovo Palazzo di Giustizia, Vallo della Lucania 6 dicembre 1969, Numero Unico a cura del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Vallo della Lucania, Arti Grafiche M. Pepe, Salerno, 1970.

Author: manlio morra

1 thought on “6 dicembre 1969: un giorno di festa (e di timore) per la giustizia nel Cilento

  1. Giustizia: Understanding the Concept and Its Importance

    “Giustizia,” the Italian word for “justice,” encompasses a profound and universal concept that underpins the fabric of society. Its essence transcends linguistic boundaries, resonating deeply within cultures worldwide. Justice represents the cornerstone upon which fairness, equality, and harmony are built. From the courtrooms to the streets, from the highaest echelons of power to the most humble abodes, the pursuit of justice echoes as a fundamental aspiration of humanity.

    Giustizia

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