Alle 10 in punto del 16 luglio 1951, dai campanili di tutte le chiese della diocesi di Vallo si levò un suono di festa protrattosi per un quarto d’ora (minuto in più, minuto in meno). Il vescovo dell’epoca, mons. Domenico Savarese, aveva disposto quest’insolito scampanio collettivo per celebrare il primo centenario del trasferimento della sede vescovile a Vallo. Infatti, era stata la bolla papale “Cum propter justitiae dilectionem”, emessa in data 16 luglio 1851 da Pio IX (ancora rifugiato nel Regno delle Due Sicilie dopo i fatti della Repubblica Romana di due anni prima), a istituire la diocesi di Capaccio-Vallo, che trasferiva definitivamente la sede vescovile da Capaccio alla nostra cittadina.
Naturalmente, i festeggiamenti non dovevano limitarsi a quel suono prolungato di campane a distesa. Quello era solo un segno di gioia, di comunione espresso da tutte le circa cento parrocchie della grande diocesi. “Vallo, – aveva scritto il vescovo – che ha l’onore di possedere la Cattedra Episcopale, esulta. Ma tutti i paesi devono esultare nel Signore, perché maggiori vantaggi ne hanno avuti col trasferimento della Sede in un centro di più facile irradiazione e di più comodo accesso”. Quel segno doveva aprire l’anno centenario, da chiudersi solo nella seconda metà del 1952.
Nel giorno dell’apertura, mons. Savarese celebrava il pontificale in cattedrale, ripercorrendo la storia della diocesi, fin dai tempi di quella pestana, e annunciando le iniziative da attuarsi durante l’anno. Tra queste, la più importante e apprezzata era quella dei lavori di restauro della cattedrale, da avviarsi da lì a qualche mese.
Nei mesi seguenti, il Capitolo cattedrale, costituito in Comitato esecutivo per le celebrazioni, annunciava le altre iniziative; in particolare, il Congresso eucaristico diocesano, da tenersi agli inizi di ottobre del ’52, con la partecipazione di tutti i vescovi della regione ecclesiastica salernitano-lucana e del cardinale Piazza (ma arriveranno anche mons. De Giuli, predecessore di Savarese, e mons. Nicodemo, vescovo di Mileto ed ex sacerdote diocesano), preceduto nei giorni dal 21 al 30 settembre dagli Esercizi spirituali tenuti dai Redentoristi (in omaggio alla memoria del primo vescovo di Vallo, mons. Marolda). Le manifestazioni avrebbero coinvolto anche l’Azione Cattolica con una giornata (4 ottobre) ad essa specificamente dedicata e con la presenza del presidente nazionale, prof. Luigi Gedda. Le attese maggiori si concentravano però sulla riapertura della cattedrale, prevista per il pomeriggio del 21 settembre (sempre del ’52), e sull’inaugurazione della nuova cappella del seminario diocesano (insieme ai lavori di ampliamento e sistemazione dello stesso), prevista per il successivo 4 ottobre. Per l’occasione venivano anche composti un inno e una preghiera, mentre si chiedeva e otteneva per il congresso la benedizione del papa, Pio XII.
Mons. Savarese aveva fatto le cose in grande tra inviti di personalità ecclesiastiche e civili; congresso eucaristico che richiamava, superandoli per il numero e la qualità degli ospiti, i due precedenti già svoltisi in diocesi nel 1938 (Agropoli) e nel 1946 (Altavilla Silentina), durante l’episcopato di De Giuli; lavori agli edifici della cattedrale e del seminario. Per lui, anche la Peregrinatio Mariae svoltasi nel ’49, con la statua della Madonna del Sacro Monte di Novi in giro per le parrocchie della diocesi, e la visita pastorale, da lui tenuta nei precedenti due anni, dovevano considerarsi parte integrante della preparazione spirituale al grande evento della celebrazione centenaria.
La Riapertura al culto della Cattedrale
Come ci informa l’allora parroco don Fulvio Parente, attraverso il numero di aprile-giugno del ’52 del Bollettino parrocchiale “Risveglio” da lui pubblicato, i lavori in cattedrale riguardano non solo la decorazione e l’abbellimento degli interni, ma anche un vero restauro e consolidamento con “la sistemazione della statica, con risarcitura in diversi punti della crociera e dell’abside”. Nel complesso, comportano una spesa – aggiunge con ammirazione per lo spirito di sacrificio del vescovo – “di circa 10 milioni”. Sul Bollettino diocesano di settembre-ottobre ’52, troviamo una vera e propria cronaca del giorno dell’inaugurazione del restauro, che usiamo come guida dei lavori e alla quale affianchiamo via via delle foto illustrative (purtroppo non dell’epoca). Eccola di seguito.
“La Cattedrale, dopo circa nove mesi, durante i quali ha visto aggirarsi sotto le sue volte non più schiere di oranti, ma operai, tecnici e artisti di ogni specialità, ha spalancato nel pomeriggio del 21 settembre i suoi maestosi battenti per accogliere la statua del S. Patrono, S. Pantaleone Martire, che, dalla Chiesa di S. Maria delle Grazie, vi è stata processionalmente accompagnata da S. E. Mons. Vescovo, dal Capitolo, dalle Autorità e da una marea di popolo esultante”.
– La statua del Protettore era stata portata in processione nella chiesa di S. Maria poco più di due mesi prima, quando, il 17 luglio, era iniziato il novenario in preparazione della festa del 27. Entrambe, novena e festa, quell’anno, si erano svolte nel santuario della Madonna delle Grazie, che non era ancora diventata sede di parrocchia. La cronaca continua:
“Appena varcata la soglia del tempio restaurato, un vivo senso di stupore colpisce il visitatore, che ha già conosciuto la Cattedrale d’altri tempi: forse nulla di nuovo nelle grandi linee architettoniche, eppure quale profonda trasformazione! Un anno fa, anche nei giorni sereni, la vasta navata non perdeva i suoi toni grigi, quasi opprimenti; oggi una luminosità gaia e tranquilla accarezza pilastri, capitelli, archi e volte e par che vibri tra i costoloni della Cupola, cui le nuove tinte avoriate conferiscono uno slancio singolare. Questa prima impressione fa bene al cuore: qui si prega bene ed è tutto. L’occhio poi osserva i particolari, a mano a mano che si procede verso l’altare maggiore”.
Dunque, la prima descrizione riguarda i colori, le tonalità, la luce degli interni, col confronto tra ciò che vede il cronista in quel settembre del ’52 e ciò che ricorda di quegli stessi interni prima che iniziassero i lavori (durati, com’egli scrive, circa nove mesi). Purtroppo, la differenza tra il prima e il dopo non possiamo mostrarvela in foto, non avendone a colori degli anni precedenti ed essendo stati gli interni della cattedrale restaurati altre due volte (agli inizi degli anni ’70, per l’adeguamento del presbiterio al Concilio, e, soprattutto, durante gli anni ’80, per i lavori di consolidamento in seguito al terremoto). Le foto che vedete di seguito sono recenti o relativamente recenti, e comunque tutte successive agli ultimi lavori. Si passa, poi, ai particolari, evidenziando le novità e partendo dal fondo:
“Il nuovo battistero, a sinistra dell’ingresso, con vasca di marmo bianco e portoro e decorazioni rinascimentali nella parete di fondo, è un solenne richiamo alla dignità e all’importanza del sacramento che ci fa cristiani; in alto spicca l’immagine di Giovanni il battezzatore, che versa l’acqua sul capo di Gesù, riproduzione del capolavoro del Verrocchio”.
“Sotto la volta della navata, tre encaustica illustrano tre momenti della vita di S. Pantaleone: taumaturgo, martire, glorioso”.
Gli “encaustica” sono del maestro Vito Formisano (il cronista lo cita in seguito) che dipinge tre scene tratte dalla vita del martire di Nicomedia: S. Pantaleone che guarisce uno storpio (“taumaturgo”), la prima opera sempre partendo dal fondo; Il martirio di S. Pantaleone (“martire”), al centro; S. Pantaleone nella gloria (“glorioso”), poco prima della cupola. Purtroppo, oggi non sono più visibili, perché rimossi dopo il restauro degli anni Ottanta (ma, secondo qualcuno, sarebbero stati solo coperti e non cancellati). Qui sotto, ve li mostriamo in una foto tratta dal Calendario 2021 “Un anno con l’arte sacra del maestro Vito Formisano”, che il figlio dell’artista cura da qualche tempo. Si vedono, però, solo il secondo e il terzo di quelli citati. Il nome deriva dalla tecnica pittorica chiamata, appunto, “encausto”, che il maestro usava spesso per dipingere su varie superfici. È simile ma diversa da quella più famosa dell’“affresco”.
“Ai due estremi della breve crociera, al posto dei vecchi altari ingombranti, due nuovi artistici confessionali rifulgono nelle eleganti colonne tortili, nelle gentili trabeazioni e nel complesso delle delicate sculture: sono forse la cosa più bella della Cattedrale rinnovata. Li ha disegnati il prof. Gino Piloni da Amalfi ed eseguiti il valente ebanista napoletanoVittorio Gallo. Il Prof. Piloni ha saputo richiamare e fondere lo stile del seicento nelle linee armoniche dell’ambiente. Il tema è profondamente significativo. Agli estremi del timpano troncato due angeli additano, meditabondi, le tavole della legge; al centro, in alto, in una raggiera circondata da cherubini, spicca, nel triangolo del Dio uno e trino, l’occhio vigile che scruta nelle coscienze”.
Questo intervento è forse il più “invasivo”, perché modifica del tutto le pareti del transetto con l’eliminazione dei due altari ritenuti “vecchi” e “ingombranti”, che però appartenevano alla storia dell’edificio, risalendo ai primi vescovi della diocesi (forse a mons. Giampaolo, 1855-1859). Non sappiamo se sopra questi altari fossero collocati quadri o nicchie con santi. Secondo alcune informazioni, è più probabile ci fossero queste ultime occupate da statue ancora presenti in cattedrale lungo la navata. Gli “artistici confessionali” riportano, sulla porticina frontale, lo stemma di mons. Savarese. Sono opere “seicentesche”, nel senso che imitano lo stile del Seicento (d’altronde, con quello stemma non è possibile confondersi!). In precedenza, i confessionali avevano minori pretese. Per farvene un’idea, basta guardare quello superstite ancora presente nella cappella della Madonna di Pompei.
“Alle pareti di fondo, sui confessionali, due quadri illustrano il valore del sacramento: la tela di sinistra raffigura Gesù che addita la cattedra a S. Pietro e gli consegna le chiavi: è opera del Guercino, riprodotta dalla Ditta Alinari; la tela di destra ci presenta la Maddalena in atto di adorazione e di amore di fronte a Gesù: è la copia di un quadro del Baroccio, eseguita dal Prof. Pompeo Coccia dei Musei Vaticani”.
Due falsi d’autore, potremmo dire per amore di battuta! Falsi dichiarati, naturalmente! L’originale del Guercino (conosciuto come “La cattedra di S. Pietro”) si trova nella pinacoteca di Cento (Ferrara), luogo di origine del pittore, e risale alla prima metà del Seicento. Quello del Baroccio (anche Barocci), agli Uffizi di Firenze, risale alla fine del Cinquecento e rappresenta il celebre episodio evangelico del “Noli me tangere”. Mentre il primo è una riproduzione della ditta dei famosi “Fratelli Alinari”, cioè, credo, una sorta di stampa fatta rispettando colori e dimensioni dell’originale (378 cm. di altezza, 222 cm. di larghezza); il secondo è eseguito dal prof. Coccia, cioè una copia appositamente dipinta, come sembra dimostrino le tonalità e le dimensioni differenti rispetto all’originale (che è alto 122 cm. e largo 91 cm.). Coccia, peraltro, era un pittore romano dell’epoca che operava soprattutto con le copie. Con i due quadri, il barocco, in particolare nel primo caso, entra in una cattedrale che è però della metà del Settecento (tutti gli altri quadri espostivi sono, infatti, molto più tardi rispetto a queste riproduzioni). Non sappiamo perché, e da chi, vennero fatte queste scelte stilistiche e tematiche nella sistemazione delle due pareti del transetto. Forse fu lo stesso prof. Piloni a disegnare il tutto.
La cronaca continua: “E l’occhio gira ancora intorno ammirato. Il pittore Vito Formisano da Torre del Greco, autore degli encaustica su ricordati, ha dipinto ancora, con fine tecnica, sull’arco d’ingresso delle Cappelle laterali le allegorie della fede e della carità, sulla volta del Presbiterio il buon Pastore tra il gregge di agnelli, ai lati dell’altare maggiore S. Pietro e S. Paolo, nel tamburo della cupola l’eterno Padre e nelle velette i quattro evangelisti”.
Per le opere qui elencate, Formisano usa la tecnica dell’“affresco”, ad eccezione di Pietro e Paolo, per i quali esegue delle tempere su muro, la stessa tecnica utilizzata per dipingere l’opera posta sopra al battistero in entrata della cattedrale. Nel presbiterio, il maestro riempie degli spazi che in precedenza erano presumibilmente vuoti. Quanto agli evangelisti nelle velette, faranno la stessa fine dei dipinti lungo la navata, venendo però riproposti qualche anno dopo la riapertura della chiesa a fine anni Ottanta (ma con raffigurazioni diverse). Due degli originali si intravedono nella foto dove appaiono i dipinti sulla volta della navata.
“Anche la Cappella del SS.mo Sacramento si presenta trasformata ed abbellita: il piccolo presbiterio rialzato con pavimentazione marmorea, balaustra di marmo, decorazioni al soffitto. Appare qua e là tra i banchi la bella e sobria zoccolatura in marmo bardiglio”.
Oltre a questi interventi, i lavori avevano riguardato anche la zoccolatura in marmo dell’intera chiesa, il rifacimento di tutte le nicchie della navata, il nuovo impianto elettrico a luce diffusa, l’impianto di altoparlanti.
Quel giorno, la riapertura della cattedrale fu un evento nell’evento. La stessa sera ebbe inizio il Corso di Esercizi, predicati dai padri Sorrentino, Di Chio, Cimmino e Pentangelo della Congregazione del SS. Redentore, cui era appartenuto – lo si è detto – Mons. Marolda, primo Vescovo di Vallo (1852-54). Nei primi giorni del seguente mese di ottobre, si celebrò il solenne Congresso eucaristico diocesano. Per rendere perenne il ricordo del I centenario, venne realizzata una lapide in marmo murata su una parete del presbiterio della cattedrale (la vedete qui sotto).
Il 4 ottobre, durante il congresso eucaristico, venne inaugurata la cappella del seminario, una delle principali realizzazioni dell’episcopato di Savarese.
Di tale evento parleremo…
Grazie Manlio per lo splendido lavoro che fai.
Complimenti. Davvero utile e interessante.
Grazie Manlio per averci portato a conoscenza di questa cronaca, che ci aiuta a mettere in ordine gli avvenimenti che hanno interessato la nostra parrocchia !.
Ho visto che nel bollettino non è citatato l’abside (se non per gli affreschi dei Santi Pietro e Paolo), il coro ligneo dedicato ai canonici, la cattedra (prima si che si poteva chiamare Cattedra!). Sarebbe bello ricostruire la storia anche di questa parte della cattedrale che riveste molta importanza per tutta la liturgia episcopale e non della nostra Chiesa Madre.
Grazie ancora e…buona ricerca !.
La cronaca del Bollettino riporta solo gli interventi realizzati in occasione dei restauri per il centenario. Per quanto riguarda abside, coro e cattedra, ci si intervenne vent’anni dopo, quando si adeguò quella parte della chiesa alle disposizioni volute da alcuni documenti del Vaticano II (soprattutto, lo spostamento dell’altare centrale dalla parete di fondo al centro del presbiterio). La precedente cattedra vescovile (quella che si vede nelle prime foto col card. Piazza e anche in alcune di quelle presenti nell’articolo di giugno 23 sull’entrata dei vescovi in diocesi) risaliva ai tempi del vescovo Iacuzio, cioè agli inizi del Novecento, quando fu realizzata per i dieci anni di episcopato (1910).
Su questi e altri temi usciranno degli articoli se emergerà del materiale interessante, anche fotografico. Intanto, ti ringrazio per l’attenzione prestata a questo sforzo di chiarimento su date, dati, circostanze, artisti, quadri, eventi di rilievo per la storia, la memoria, la cultura locale. L’idea alla base del sito è sottrarre il passato all’oblio, recuperarlo a uno sguardo nuovo e consapevole, aprire un dibattito e tenerlo acceso grazie a lettori attenti e attivi, capaci di stupirsi con la bellezza che ci circonda e che, purtroppo, una diffusa indifferenza lascia morire lentamente.