Quando i cattolici erano “popolari”, anche nel Cilento

Parafrasando un noto filosofo, oggi ci piace scrivere su un argomento inattuale, convinti che nulla lo sia davvero nel gran calderone della storia umana.

Qualcuno ricorderà quando in Italia c’era il partito cattolico (e dei cattolici, ma non solo), che col suo simbolo, lo “Scudocrociato”, ha caratterizzato un intero periodo storico nella seconda metà dello scorso secolo. Nato nelle macerie della guerra, esso si sciolse in maniera assai ingloriosa (e dolorosa) all’inizio degli anni Novanta, durante la convulsa, e ancora tutta da storicizzare, fase di “Mani pulite” che, tra le tante sue vittime, ebbe anche questa. I reduci da quell’esperienza si dispersero in varie formazioni, barcamenandosi tra poli e coalizioni allora emersi nella nuova geografia politica italiana, ma non riuscirono più a recitare un ruolo da protagonisti nella stagione che sembrava aver superato le ragioni e i motivi della presenza di un forte partito di ispirazione cristiana.

Oggi, pur non avendo un vero partito di riferimento, di cattolici in politica ce ne sono ancora, ma forse dirsi “cattolico” non paga più in termini politici (e, mi sembra, che l’aggettivo si sia alquanto sbiadito anche sul piano sociale) e sono di moda altre appartenenze, tutte labili, legate a categorie, non meno liquide, quali “populismo” e “sovranismo”. Categorie forse già consumatesi nel frenetico agone politico nazionale.

La presenza dei cattolici italiani in politica, e del loro simbolo, era però più antica; risaliva al gennaio 1919, quando, il 18 di quel mese, con l’appello “a tutti gli uomini liberi e forti”, don Luigi Sturzo poneva le basi del Partito popolare italiano. Nasceva allora la prima esperienza politica organizzata e consapevole del mondo cattolico nel nostro Paese dopo decenni di attività prevalentemente sociale e religiosa. Col suo programma quel partito intendeva realizzare una serie di riforme sostanziali dell’assetto politico-sociale dell’Italia appena uscita – vincitrice ma malconcia – dalla Prima guerra mondiale (che allora per tutti era la “grande guerra”).

Qui non vi faremo la storia dei popolari, breve ma intensa e anche, per certi aspetti e per alcuni di essi, drammatica; ma limiteremo il nostro sguardo ad un ambito più ristretto e a noi più vicino: il salernitano e il cilentano.

Rispondendo all’appello di Sturzo, nel corso del ’19 si costituiscono un po’ in tutto il Paese le sezioni provinciali e comunali del partito. A marzo, nasce la sezione salernitana. Nelle sale del Circolo giovanile cattolico di Salerno si riuniscono più di duecento persone, raccogliendo l’appello proveniente dalla direzione romana. A guidarli ci sono Carlo Carucci, Giuseppe e Carmine de Martino. Quest’ultimo invita a sostenere i punti programmatici del partito e diffonderne la presenza in ambito provinciale. Il giornale del movimento cattolico locale, “Il Piccolo Corriere”, sostiene l’iniziativa e pubblica la cronaca della riunione il 19 marzo.

Programma del PPI pubblicato su Il Piccolo Corriere del 16 ottobre 1919

Le sezioni popolari si diffondono soprattutto nel successivo autunno, in previsione delle elezioni politiche di novembre, le prime del dopoguerra e le prime a tenersi col sistema proporzionale e in seguito all’introduzione del suffragio universale maschile. Anche il circondario vallese è interessato da questa espansione della nuova iniziativa cattolica. La sezione popolare di Vallo nasce all’interno della Cassa Rurale “San Pantaleone”, che è la più importante iniziativa nel movimento cattolico locale, attiva fin dal 1913 e guidata dal can. Alfredo Pinto. A metà ottobre, questa sezione diffonde, su “Il Piccolo Corriere”, il seguente comunicato-appello:

“Nella imminenza delle prossime elezioni politiche si è formata anche in questo Capoluogo una Sezione del Partito Popolare Italiano con sede provvisoria presso la Cassa Rurale S. Pantaleone. Dato il programma e l’indole del Partito che ha per suoi fondamentali obbiettivi la integrità ed unità della Patria, e la esplicazione di tutta la grandezza nazionale nella funzione civile, morale ed economica, non poteva mancare al nuovo Partito quella vasta adesione che, come interessante e notevole fenomeno, ha da per tutto incontrato un premuroso entusiasmo.

Noi, sventuratamente abituati a non intendere altri partiti che non siano stati quelli che finora funestarono questi paesi, perché aventi per mira e per base vedute, interessi ed ambizioni unicamente personali, salutiamo come una vera liberazione lo affermarsi del Partito Popolare Italiano che è partito eminentemente nazionale; è partito di principii e non di persone e di privato servizio; è partito come è stata la parola intesa dai migliori uomini di Stato; è partito che vuol promuovere tutto il benessere della Nazione in base all’ordine, alla concordia alla disciplina e al carattere del popolo che si vogliono vedere integrati e fortificati nella fede unica di una Patria grande e felice. In tali intendimenti si riassume il programma del Partito Popolare.

Vorranno le persone che sono nell’ordine d’idee di esso costituire e formare dei Comitati locali nei rispettivi Comuni, ricevere le adesioni, e diffondere il programma del Partito stesso; ragguagliando in pari tempo questa Sezione dell’opera che si svolge e dei risultamenti (sic) a cui si perviene. Le comunicazioni ed adesioni si ricevono nella sede suddetta dal Segretario Politico, can. Alfredo Pinto”.

È la sintesi di un vero programma politico, che invita cattolici e non all’azione. Il partito è inteso, soprattutto, come lo strumento per dare ai cattolici il ruolo che spetta loro nella nuova Italia creata dalla guerra, in chiara antitesi con i personalismi del notabilato liberale meridionale. Vi si coglie l’idea di partito propria di Sturzo, aconfessionale e nazionale, e quella che sembra essere la principale preoccupazione dell’estensore dell’appello: porre un argine alla politica dei partiti locali, animati dagli interessi personali dei singoli “galantuomini”. Gli avversari da combattere non sono i socialisti, come altrove, ma i notabili con le loro fazioni e consorterie locali.

La sezione fa corpo unico con la Cassa rurale, il suo direttore è anche il segretario politico. Ciò prova quanto l’esperienza popolare, almeno in questa prima fase, si appoggi e trovi riscontro nella rete degli organismi e delle associazioni cattoliche preesistenti, e in particolare nelle strutture create dal cattolicesimo sociale. E questo avviene soprattutto al Sud, dove gran parte del mondo cattolico passa automaticamente, o quasi, al partito, non sempre cogliendone i tratti distintivi.

Il simbolo elettorale del PPI alle elezioni del 1919 (Il PIccolo Corriere, 13 novembre 1919
Il simbolo elettorale del PPI alle elezioni del 1919 (Il PIccolo Corriere, 13 novembre 1919

La campagna di propaganda per i popolari si svolge con una certa intensità. Ai primi di novembre, si tiene a Vallo un comizio del partito. Nel locale “Teatro Italia”, l’avvocato Pasquale Pinto parla della lista Popolare, del suo programma, delle adesioni ricevute dai Comuni del collegio elettorale; legge il telegramma di uno dei leaders del partito nel Salernitano, il comm. Mattia Farina, e introduce i due candidati presenti: Mario Mazziotti e Amedeo Moscati. Questi si diffondono sugli intenti del partito e sui loro precedenti rapporti col territorio. Mazziotti sarà il più votato nel circondario. È sempre “Il Piccolo Corriere”, del 13 novembre, a riportare la cronaca del comizio.

I risultati sono un successo per i cattolici. Dei cento deputati eletti sul piano nazionale, dieci provengono dalle liste campane e, tra questi, tre dal collegio di Salerno: Mattia Farina, Goffredo Lanzara e Salvatore Camera. Nel circondario di Vallo, la lista col simbolo “Scudo crociato” si piazza al terzo posto per numero di preferenze, superando i quattromila voti. Un risultato di tutto rilievo considerando che ai primi due posti ci sono le liste dei notabili liberali, quella dei nittiani del Partito liberale democratico, cioè la lista sostenuta dal governo in carica (con oltre 13.000 voti, di cui più di 7.000 al solo Andrea Torre), e quella dei giolittiani del Partito democratico (con oltre 6.000 voti). I cattolici, inoltre, hanno avuto contro sia il sindaco di Vallo, Filadelfo de Hippolitys, che sosteneva l’avvocato Giovanni Cuomo della lista ministeriale, sia il sottoprefetto, che naturalmente spingeva i candidati della stessa lista, guidata da Andrea Torre. I popolari vallesi hanno orientato il voto, soprattutto, su Mazziotti e Farina, ma dei due solo quest’ultimo viene eletto. L’onorevole Farina diventa il referente politico dei popolari locali, così come era stato, e continuava ad essere, uno dei leaders del movimento cattolico in provincia.

Prima pagina de Il Piccolo Corriere, 27 novembre 1919
Prima pagina de Il Piccolo Corriere, 27 novembre 1919

Il successo dei popolari in provincia è dovuto sia alla novità rappresentata dalla presenza di un partito cattolico, dopo i numerosi tentativi degli anni precedenti di aggregare quel mondo in occasione delle tornate politico-amministrative, sia al sostegno ottenuto dagli agrari e dalla loro associazione nel Salernitano. Lo stesso Farina proviene da quel mondo, come d’altronde i due candidati presentatisi a Vallo in comizio, Mazziotti e Moscati.

Due anni dopo, alle elezioni politiche del ’21, il partito cattolico, non più appoggiato dagli agrari, in provincia riesce a far eleggere soltanto l’uscente Mattia Farina. Nel circondario vallese, questi è il più votato della lista, ma con circa trecento preferenze in meno rispetto al ’19. Nel complesso, la lista “Scudo crociato” cala vistosamente, ottenendo poco meno di 1.300 voti. Pesano anche i riscontri ottenuti dalle due liste liberali, la governativa del Partito democratico riformista e quella dell’opposizione del Partito democratico liberale, quasi appaiate nei risultati con oltre 8.000 voti ciascuna. Entrambe le liste sono trascinate dai rispettivi notabili, tra cui spiccano, in quest’ultima, Torre, Amendola e Cuomo.

I popolari agiscono sulla base del programma nazionale del partito, ma nel circondario vallese, come in tutto il Meridione, l’azione dei loro candidati nelle elezioni politiche del ’19 e del ‘21 è quella tipica dei notabili liberali, con tutto il portato di clientele e trasformismo propri della tradizione locale.

A Vallo, il sostegno ad Andrea Torre è quello al patron politico del territorio, cui in parte si contrappongono altri “galantuomini”. Lo stesso Farina agisce, qui come in altri ambiti provinciali, in maniera non dissimile. Il popolarismo locale non sfugge a tali caratteristiche della lotta politica e tenderà in seguito a seguire gli orientamenti e le scelte del suo uomo di riferimento.

In questi anni, è difficile identificare la consistenza e l’attività dei popolari vallesi, così come le posizioni della curia. Il vescovo non era più Iacuzio, trasferito a Sorrento, ma mons. Francesco Cammarota, entrato in diocesi nel corso dell’estate 1918. Se non di sostegno, la sua posizione nei confronti del nuovo impegno politico dei cattolici dovette essere d’attesa nei primi anni; il suo non fu l’appoggio convinto e decisivo dato al movimento cattolico dal predecessore.

Nel gennaio del 1923, l’avv. Pasquale Pinto, fratello di don Alfredo, in qualità di componente del comitato provinciale dei popolari, partecipa a Napoli all’incontro di tale comitato con don Sturzo. Sono presenti, tra gli altri, anche l’on. Farina e il segretario provinciale, il marchese Giovanni Imperiali. Si fa il punto della situazione a pochi mesi dalla presa del potere da parte di Mussolini. Farina riferisce sul partito in provincia, sostenendo che i Fasci di combattimento sono in espansione e che i popolari hanno buoni rapporti con essi, con pochi episodi di violenza e la sostanziale tenuta delle adesioni al partito nel suo complesso.

In provincia la situazione appare abbastanza tranquilla. Dopo la “marcia su Roma” le sezioni fasciste sono in espansione, ma lo squadrismo è sostanzialmente assente, mentre i popolari tengono, visto che alla riunione del comitato a giugno del ’23 sono presenti i delegati di ben 50 sezioni del partito. La tranquillità, però, nasconde una situazione in rapido cambiamento. Al centro è già iniziata la manovra mussoliniana per dividere e smembrare il partito, per costringere la Gerarchia a prenderne le distanze, mentre nel Meridione è in corso l’attacco ai vecchi partiti liberali, con la cooptazione dei notabili e l’assorbimento delle loro clientele. Un processo i cui frutti sono ben evidenti alle elezioni politiche del ’24, quando nel “listone” governativo, cioè fascista, compaiono nomi quali quelli del liberale Andrea Torre e del popolare Mattia Farina.

Uno sguardo ai risultati di questa tornata elettorale, svoltasi col sistema maggioritario forzatamente voluto dal governo di Mussolini, consente di capire i nuovi rapporti di potere impostisi anche in ambito locale.

Leader fascisti salernitani
Leader fascisti salernitani

La “lista nazionale”, cioè quella governativa, ottiene nel circondario di Vallo oltre 16.000 voti su circa 18.600 votanti. Le altre liste si dividono le briciole, con l’“Opposizione costituzionale” di Giovanni Amendola che riceve 1.091 preferenze e il Partito popolare che scende a 118 voti. Quest’ultimo è ridotto a una presenza poco più che simbolica e, a cinque anni dalla nascita, tale risultato ne completa la parabola politica. Mattia Farina, che ne era stato il leader, nel “listone” fascista ottiene un notevole riscontro con oltre 4.600 voti. Di questi, molti provengono dai popolari locali che lo hanno seguito anche nella sua opportunistica scelta, lasciando il partito al suo destino. Il can. Alfredo Pinto, ex segretario della sezione locale del PPI, fa votare in quest’occasione per il Farina divenuto, o in procinto di divenire, esponente del partito governativo, segnando in tal modo l’entrata nel regime fascista del mondo cattolico locale e la fine delle esperienze maturate in seno al cattolicesimo sociale.

Anche se si deve tener conto del generale clima di intimidazione in cui si svolge questa tornata elettorale, nel circondario le motivazioni di fondo del voto rimandano al collaudato sistema delle affiliazioni personali.

In definitiva, la logica politica che, a Vallo e nel Cilento, muove quanti votano e credono nel partito popolare non è molto diversa da quella derivante dalla tradizione locale e sviluppatasi durante il periodo liberale. Ci si orienta sulle scelte del notabile di riferimento, anche quando queste sono in aperto contrasto con il suo passato, con le decisioni politiche e col programma del suo partito. Questo forse è stato il punto debole di tutta la breve storia del popolarismo cilentano.

Circa vent’anni dopo sarà ancora il can. Pinto ad essere uno dei promotori a Vallo della nuova formazione politica dei cattolici, la Democrazia Cristiana. Nuova ma collegata per tante vie alla vecchia fondante esperienza popolare.

Author: manlio morra

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