Un decennale da ricordare: Vallo e la sua storia a due secoli dalla nascita del comune

Sembra ieri, ma sono passati dieci anni. A marzo del 2012 presentavamo il libroDa paese di conciatori a città di servizi. Gli ultimi duecento anni a Vallo della Lucania, pubblicato dall’editore Plectica di Salerno e curato dai proff. Rossi e Santangelo. Nell’allora appena ristrutturata Aula consiliare del Palazzo della Cultura (l’ex Convento dei Domenicani, che cominciava ad assumere il nuovo pomposo nome voluto dall’amministrazione comunale), la manifestazione – molto partecipata dai cittadini, non saprei dire se più per curiosità ed interesse verso la storia locale o per la presenza di relatori che lasciavano presagire un certo appeal anche mondano dell’evento, quali il sindaco Aloia, il vescovo Miniero, i proff. Rossi, La Gloria e Castiello – presentava i risultati di un’ampia ricerca voluta dallo stesso Comune (ma partita dall’iniziativa del precedente sindaco Cobellis) sulla storia di Vallo nell’età contemporanea. Si trattava di celebrare i due secoli della nascita del nostro Comune, ripercorrendone con uno sguardo retrospettivo (non celebrativo) il lungo cammino di sviluppo.

Locandina della manifestazione del 2012
Locandina della manifestazione del 2012

Il contenuto temporale dei due tomi che compongono il volume è reso chiaro dal sottotitolo, che parla degli “ultimi duecento anni”, mentre il titolo indica le linee di un percorso storico, la principale direttrice socio-economico lungo la quale si muove il paese in questo periodo: quella che lo conduce dall’essere una comunità dedita a un fiorente artigianato e commercio delle pelli e dei cuoi, – un “paese di conciatori”, appunto -, attività di derivazione settecentesca e di tipo proto-industriale, al divenire un centro con funzioni di tipo urbano grazie alla presenza di un terziario privato e, soprattutto, pubblico col quale fornisce a un vasto territorio circostante servizi di varia natura, tra cui quelli amministrativi, sanitari, giudiziari, educativi – la “città dei servizi”, di cui ancora al titolo. Un percorso che ne sottende un altro, di tipo istituzionale, col costituirsi dei due casali di Corinoti (o Vallo) e Spio in Comune agli inizi dell’Ottocento, la sua elevazione a sede di Sottointendenza (in seguito, Sottoprefettura) e, a metà secolo, di Tribunale circondariale, fino agli snodi novecenteschi che, tra alti e bassi, lo collocano stabilmente tra le realtà civiche più rilevanti dell’area cilentana.

Insomma, c’era molto su cui indagare e scrivere, ed ecco il motivo per cui il materiale prodotto dagli autori coinvolti è stato suddiviso in modo da occupare due tomi per un totale di circa 700 pagine. I saggi in cui si articola il lavoro affrontano i più diversi temi e problemi del periodo ed offrono un panorama ampio e variegato per contenuti e metodi. Era la prima volta che si cercava di coprire ambiti temporali e problematici così vasti. Se si guarda, infatti, alla scarna produzione bibliografica specificamente dedicata alla storia di Vallo, si trova un solo lavoro di livello scientifico, quello del 2000 di uno dei due curatori, dal titolo Vallo della Lucania, nel quale Luigi Rossi compendia e rielabora i suoi numerosi studi precedenti sul paese e il territorio; mentre risale alla prima metà degli anni Ottanta la pubblicazione di Vallo Lucano e suoi dintorni, curata dallo stesso Rossi, ma, in questo caso, si tratta della raccolta di scritti storici del canonico Giovanni Maiese risalenti ai primi decenni del ‘900 e ancora inediti, raccolta assai documentata e ricca di notizie che segue, però, il modello delle ricerche erudite di stampo ottocentesco. Per trovare un terzo titolo, occorre risalire alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quando l’avvocato Tommaso Cobellis pubblicò, col sostegno del comune, il volumetto Origini e storia di Vallo della Lucania, stampato dalla locale tipografia di Luigi Spera. Anche in questo caso, però, si trattava di un saggio di tipo erudito, scritto a ridosso delle retoriche celebrazioni dei 100 anni dei moti del 1828. Sono libri di cui prima o poi ci occuperemo; qui li abbiamo richiamati per evidenziare la novità e l’ampiezza del progetto di ricerca alla base del volume che stiamo analizzando.

Dunque, tornando ai due tomi del 2012, c’è da dire che, quasi a fare da premessa ai temi otto-novecenteschi, i saggi di Elio De Magistris, sul territorio vallese nell’antichità, di Giuseppe Cirillo, su Spio e Corinoti tra medioevo ed età moderna nell’ambito dello Stato di Novi, di Alfonso Conte, sul complesso rapporto intessuto a cavallo tra età moderna e contemporanea dall’uomo col territorio cilentano, e di Michele Santangelo, sulle dinamiche di lungo periodo della vita religiosa, tentano di ricostruire alcune delle vicende che interessano il comprensorio vallese nell’antichità, nel medioevo e nell’età moderna, facendo luce su una storia della quale siamo quasi completamente all’oscuro, a causa della scarsa documentazione e dell’ancora più scarsa attenzione storiografica.

Quanto all’Ottocento, la sua analisi è condotta nei contributi di Grazia De Vita e Giuseppe Palmisciano. Quest’ultimo porta la sua attenzione sul Risorgimento, con la partecipazione dei vallesi e dei cilentani alle insurrezioni del periodo e la diffusa e continua effervescenza politica e dell’ordine pubblico che interessa quest’area in quei decenni. L’analisi presenta un ampio respiro cronologico, parte infatti dal 1799, si diffonde sul periodo francese per approdare ai decenni della Restaurazione. Di questa vengono presi in esame, in particolare, i due grandi momenti insurrezionali: quello del 1828-29, specificamente cilentano, e il 1848, quando il comprensorio partecipa al sommovimento generale di quell’anno. Lumeggiando episodi, personaggi e limiti, l’autore riesce a fornire un quadro di questi eventi efficace, privo di toni celebrativi e tutto calato nel contesto e nelle dinamiche create dai concreti rapporti di forza tra i ceti locali. Suo merito è quello di aver utilizzato in maniera convincente fonti documentarie specifiche, quelle prodotte dalla polizia borbonica e conservate presso gli archivi pubblici napoletani.

La De Vita, invece, in due saggi, dedicati rispettivamente a “Vallo nella prima metà dell’Ottocento” e al periodo “A cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento”, compie un’analisi articolata delle dinamiche economiche e di quelle amministrative.

Vi trovano spazio – nel primo – il racconto delle problematiche vicende del neonato Comune, che affronta i decenni iniziali della sua esistenza tra mancanza di risorse, disfunzioni gestionali, incapacità del ristretto ceto dirigente a operare per la crescita e il progresso del territorio e dei suoi cittadini; un racconto al quale si intreccia quello delle non meno difficili vicende sociali ed economiche, con un apparato produttivo preso in esame nei suoi settori costituenti: l’agricoltura, l’artigianato, la pastorizia, le attività legate all’economia del bosco. Settori che vengono opportunamente inseriti e considerati all’interno di un contesto economico in cui la prevalenza dell’autoconsumo, lo scarso sviluppo del mercato e il condizionamento della gestione delle terre demaniali – l’annosa “vertenza demaniale” – evidenziano la complessiva arretratezza del paese e del suo territorio.

Ne emerge il quadro ampio e mosso di una realtà che, pur favorita da alcuni dei cambiamenti promossi nel Decennio francese – quando Vallo diventa sede della Sottointendenza e quindi centro del comprensorio controllato dal funzionario governativo –, non riesce ad adeguare le sue strutture produttive agli emergenti cambiamenti economici, né ad esprimere un’élite all’altezza dei suoi nuovi compiti.

Nel secondo intervento, l’autrice riprende il suo ordito narrativo, rivolto ora alla fase che dall’Unità porta alla Prima guerra mondiale. Ritornano molti dei temi già trattati, evidenziando che i rivolgimenti politici e istituzionali del 1860-61 hanno inciso relativamente sulle dinamiche amministrative ed economiche locali.

E così le sue pagine si animano ancora con i personaggi, gli eventi e il clima complessivo della burrascosa vita dell’amministrazione comunale, la cui responsabilità resta nelle mani della ristretta élite cittadina. Essa appare sempre caratterizzata da localismo e clientelismo, invischiata con interessi politici ed economici di tipo notabilare, mossa quasi unicamente dallo scontro continuo delle fazioni. Tutto ciò ne inficia l’efficienza, condannando il Comune ad un’evoluzione lenta e quasi impercettibile nella quale si ripropongono ripetutamente gli stessi problemi.

Circa il settore produttivo, agricoltura, artigianato, attività silvo-pastorali subiscono in questi decenni la crisi generale, aggravata dall’incapacità di rinnovarsi dell’antica lavorazione di pelli e cuoi e dal protrarsi della vertenza demaniale. Sono ben messi in evidenza gli sforzi compiuti dall’Amministrazione provinciale e dalla Società Economica di Salerno attraverso i comizi agrari e le cattedre ambulanti di agricoltura. Sforzi che non danno i risultati sperati e non attenuano la stagnazione complessiva di questi settori che costituisce la causa principale dell’emigrazione, fenomeno tristemente presente in questo periodo nelle terre cilentane con dimensioni sconosciute nel passato.

Anche per questa fase, emerge un quadro tutt’altro che rassicurante: quello di una realtà dedita a una modernizzazione frustrata da lentezze ed incapacità, che stenta a decollare e non riesce mai a diventare un dato acquisito dello sviluppo locale.

Prima di proseguire, mi fermo per fare una riflessione. Da una lettura attenta, si può ricavare l’impressione che i due autori dipingano un quadro tutto in negativo e troppo pessimistico. In realtà, ciò è frutto del metodo e del punto di vista adottato: entrambi hanno scelto una lettura problematica dei fatti, evidenziando i momenti critici, i contrasti, le frizioni e le contraddizioni di cui è costellata la vicenda storica, nella convinzione che non si dà storia senza problema.

Alla prima metà del Novecento sono dedicati il mio intervento e quello di Lodovico Calza. Mentre quest’ultimo si occupa del secondo conflitto mondiale, dal punto di vista del tutto particolare della “vita quotidiana nella Valle di Novi” in quegli anni, nel mio saggio ho preso in esame le vicende del nostro Comune dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, in pratica il periodo fascista compreso, appunto e non a caso, tra i due scontri armati. Sicché avrei potuto intitolarlo “Da guerra a guerra”, visto che il fascismo nasce dalle trincee della Prima e porta ai campi di battaglia della Seconda, trovandovi la sua drammatica e ingloriosa fine.

Nella mia ricostruzione mi sono avvalso soprattutto delle fonti conservate presso il locale Archivio comunale, cercando di valorizzare una risorsa inutilizzata e sostanzialmente sconosciuta, sempre in bilico tra conservazione e dispersione a causa della scarsa cura per i documenti archivistici e la memoria in essi racchiusa che caratterizza da sempre il nostro territorio. Se si potesse fare la storia di quell’archivio, essa risulterebbe – consentitemi l’esagerazione – più travagliata dell’intera storia politico-amministrativa e socio-economica locale. Naturalmente, questa fonte è stata incrociata con la documentazione trovata presso l’Archivio di Stato di Salerno, soprattutto nel Fondo Prefettura.

Le vicende prese in esame riguardano l’attività dell’ultima amministrazione eletta prima delle riforme fasciste, quella di Gaetano Passarelli in carica dal 1920 al 1925, quella dei vari Commissari prefettizi che gli succedono dal 1925 al 1927 e quella dei podestà Luigi Scarpa De Masellis (1927-1936), Raffaele Passarelli (1937-1941) e Pasquale Pinto (1941-1943). Vi occupano inoltre notevole spazio i temi inerenti l’avvento del fascismo e le sue manifestazioni locali; la riforma podestarile che, cambiando i criteri di scelta degli amministratori comunali e la natura del loro ruolo, investe in pieno la gestione del potere locale; le opposizioni al fascismo; gli strumenti di consenso costruiti dal Regime e operanti anche in paese – quali l’Opera Nazionale Balilla, l’Opera Nazionale Dopolavoro, l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, l’Ente Comunale di Assistenza; l’impatto della guerra sugli assetti locali e, in particolare, i luttuosi eventi del bombardamento del settembre 1943.

Il quadro offerto è molto ampio e racconta dell’azione modernizzatrice svolta da alcuni di questi amministratori, con la costruzione tra il 1923-26 dell’acquedotto consortile Vallo-Novi, la dotazione dell’illuminazione pubblica elettrica per le frazioni – Angellara nel 1921, Pattano nel 1928 –, i tentativi di migliorare l’offerta formativa del paese con la nascita nel 1919 del Ginnasio e a metà degli anni Trenta del Liceo (di cui vi abbiamo parlato in un articolo pubblicato su questo sito qualche mese fa), con la costruzione in quest’ultimo decennio dell’edificio scolastico per le elementari, il prolungamento dell’acquedotto fino alla frazione di Pattano, gli interventi sull’arredo urbano e sull’igiene pubblica, la nascita di un Convitto comunale nel 1926.

Inoltre, vengono messi in luce i meccanismi mediante i quali il gruppo dirigente locale si confronta col fascismo fino a venirne assorbito, pur conservando i suoi antichi interessi e le prerogative del passato (su questo, potete leggere l’articolo sull’inaugurazione del monumento ai caduti nell’ottobre ’25).

Tra i tanti temi, tre meritano l’attenzione. L’individuazione di un partito amendoliano che si oppone al fascismo alle elezioni del 1924 e si mantiene critico in seguito per alcuni anni guidato dall’avvocato Tommaso Cobellis col suo organo di stampa “La Voce del Cilento”(sì, è l’autore dell’opuscoletto su Vallo del ’29); la presenza a Vallo di confinati politici – non solo di Ferruccio Parri nel 1932, ma di altri anonimi oppositori –, che ne fa una delle sede tipiche di questo strumento fascista; l’ampliamento della circoscrizione comunale nel 1929, col comune di Vallo che ingloba il territorio dei comuni limitrofi di Cannalonga, Moio e Novi, sicché fino alla fine del conflitto la storia del comune vallese è anche la storia della Valle di Novi.

Sull’opposizione degli amendoliani – l’unico antifascismo in zona di cui si ha qualche notizia – avremmo voluto saperne di più, ma non sono riuscito ad individuare altri documenti e, comunque, la ricerca rimane aperta; qualche nome di confinato sono invece riuscito a trovarlo, come quelli del siciliano Filippo Di Dio Russo, che soggiorna a Vallo per alcuni mesi nel ’36, e quelli del muratore senese Agostino Ceccarelli e del calzolaio genovese Arrigo Barilli, entrambi comunisti e condannati per “propaganda antifascista” nel ’39. A questi si aggiungono, nel ’40, il fiorentino Giuseppe Vannetti e, nel ’41, il siciliano Pietro Grassa, anch’essi confinati politici. L’elenco, anche se ci sfugge, è certamente più numeroso e ci informa sul fatto che Vallo è in questi anni una sede di destinazione abituale di confinati comuni e politici. Un’acquisizione non di poco rilievo, in quanto di riflesso ci consente di cogliere la situazione politica in paese, la sua sostanziale acquiescenza al regime.

Quanto all’ampliamento del comune, questo può essere visto come una sorta di compensazione rispetto a quanto Vallo aveva perduto negli anni precedenti a causa del fascismo: nel ’23 era stato soppresso il Tribunale (ne parleremo in un prossimo articolo) e nel ’26 la Sottoprefettura; due degli uffici pubblici storici presenti in paese. Ma i comuni inglobati non accetteranno mai di buon grado quell’allargamento, subendolo fino a che, la caduta del regime, consentirà loro di tornare autonomi. Una vicenda che, al di là del fascismo, ci racconta dei difficili rapporti tra le realtà amministrative locali.

Di altra natura è l’intervento di Lodovico Calza. Non solo per l’ambito cronologico – la seconda guerra mondiale – e tematico – la vita quotidiana –, ma anche per le fonti e il metodo utilizzato. Si tratta, infatti, di un saggio di storia orale basato su interviste a persone che hanno vissuto gli eventi e sui loro ricordi e di quanti quei fatti li hanno sentiti raccontare. Un metodo ottimale per penetrare nella quotidianità che sfugge alle analisi politico-istituzionali ed economiche fondate su documenti più o meno ufficiali, per ricostruire dal basso i fatti e conoscere in maniera concreta come essi sono stati vissuti ed interpretati dalla gente comune.

Il saggio è godibile e da esso si apprende molto. Le reazioni e i sentimenti nei paesi della Valle di Novi allo scoppio del conflitto e le dinamiche che esse assumono in base all’andamento delle operazioni belliche, i rapporti col fascismo e con i fascisti, il lavoro nei campi e quello nelle attività svolte in paese, i tanti aspetti comuni e insoliti che animavano la vita giornaliera nelle piccole realtà cilentane, le difficoltà alimentari e i sacrifici per approvvigionarsi anche solo del minimo necessario nei mesi seguenti la caduta del Regime e l’8 settembre 1943.

Sono questi e vari altri i temi e i protagonisti presentati dall’autore, in un quadro efficace di quegli anni difficili, quando più che mai i grandi avvenimenti della storia generale si riflettono nei piccoli fatti di singoli individui e intere comunità che sostanziano la storia locale.

Altri due contributi completano il quadro del Novecento. Mi soffermo brevemente su di essi, sorvolando sugli altri saggi presenti nel volume. Si tratta degli interventi miei, sulle vicende elettorali nel secondo dopoguerra, e della De Vita, sulle dinamiche di sviluppo degli ultimi decenni.

Quest’ultima si sofferma su fenomeni e strutture che per la loro vicinanza agli anni più recenti si collocano ancora a metà strada tra storia e cronaca. Interessante è il suo discorso su alcuni fenomeni propri della modernità che solo ora si affaccia in queste terre, quali il consumismo dettato da una maggiore disponibilità di prodotti forniti dal mercato e da un incremento delle risorse finanziarie utilizzabili dai privati per spese riguardanti la loro vita quotidiana. L’attenzione portata su tali aspetti consente di verificare le dinamiche che conducono anche la popolazione locale a radicali cambiamenti degli stili di vita e di consumo. Interessanti sono anche i dati offerti sul sistema scolastico locale che in questi decenni si sviluppa notevolmente, arrivando ad articolare l’offerta formativa del paese in un’ampia gamma di istituzioni scolastiche. Non ultima per importanza è l’analisi – per forza di cose ancora limitata e descrittiva – del “reticolo dei servizi”, cioè delle strutture pubbliche presenti in paese, quali l’Azienda ospedaliera, l’Ente parco, il Consorzio irriguo e il ricostituito Tribunale. Di molti di questi fenomeni, servizi, strutture occorrerà ancora fare la storia.

Foto da T. Cobellis, Origini e storia di Vallo della Lucania, Stab. Tip. L. Spera, Vallo, 1929
Foto da T. Cobellis, Origini e storia di Vallo della Lucania, Stab. Tip. L. Spera, Vallo, 1929

Nel mio secondo contributo, scrivo sulle vicende politico-elettorali che vanno dal referendum istituzionale del 2 giugno 1946 alle regionali campane del 2010. Un lungo excursus di oltre sessant’anni in cui viene presentato un panorama sostanzialmente completo dei risultati ottenuti dai vari partiti, gruppi e singoli candidati nella cittadina di Vallo. Dalla scelta di quel primissimo dopoguerra che vede vincente la monarchia, come nel resto del Mezzogiorno, alla vittoria del candidato del polo conservatore, Caldoro, per la presidenza della regione Campania alle ultime consultazioni svoltesi prima della pubblicazione del volume: un lungo elenco di vittorie e sconfitte che cerca di non essere solo un arido catalogo di dati ma anche il racconto delle scelte politiche, ideologiche e personali fatte di volta in volta dai vallesi. I numeri fanno emergere le stagioni politiche che si susseguono nei decenni ed evidenziano anche i riflessi delle vicende nazionali sul quadro locale, che non di rado si discosta dagli orientamenti politico-ideologici espressi in ambito generale.

Quella evidenziata è anche la storia della trasformazione del vecchio notabilato locale che deve inserirsi nelle strutture create dai partiti e nei meccanismi da essi gestiti per poter rinnovare controllo politico e predominio sociale; ed è la storia dell’affermarsi della Democrazia Cristiana a partire dalla fine degli anni Cinquanta, quando, scontato il prevalere dei monarchici dovuto soprattutto alla candidatura dell’avv. De Marsico, si avvia a quella centralità politica presto divenuta vera e propria egemonia, fino alla caduta della cosiddetta “prima repubblica”. Vengono seguite anche le complesse e variabili vicende successive a quella caduta quando il sistema dei partiti e i precedenti assetti politici mutano radicalmente e si creano nuovi equilibri politici e amministrativi. In molti punti, i temi affrontati sono ancora cronaca per vicinanza temporale e qualità della documentazione; molti altri avrebbero meritato maggiore approfondimento, come, ad esempio, l’analisi dei partiti e dei singoli candidati di volta in volta protagonisti, o come le figure di De Marsico e Luigi Cobellis, quelle di sindaci come Bellucci, Rinaldi e, più vicino a noi, Miraldi. Ma il mio era solo l’inizio di un discorso, uno schema di ricostruzione o, se si preferisce, uno scheletro da rimpolpare con ulteriori ricerche lasciate alla curiosità storiografica e alla sensibilità culturale della comunità vallese (ricerche, però, che non mi sembrano all’orizzonte).

Intanto, il nostro contributo sembra aver retto i suoi primi dieci anni di vita. Intendeva essere uno snodo importante per lo studio della nostra storia locale; di essa, presentava le principali dinamiche negli “ultimi duecento anni”, riscontrando quei fenomeni che sono propri dell’età contemporanea, declinati secondo le caratteristiche assunte nel Mezzogiorno italiano e le peculiarità delle sue numerose aree periferiche. Chi scrive, pensa abbia assolto non indegnamente il suo compito e continui a farlo. Leggere per credere!

Author: manlio morra

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