Proprio l’altro giorno, visitando per caso il sito ufficiale della Diocesi di Vallo della Lucania, mi sono imbattuto nella notizia dell’udienza concessa dal papa alla comunità di Castellabate il prossimo 23 febbraio. Quella comunità si recherà al cospetto di Francesco portando con sé la statua del Santo Patrono, San Costabile.
La notizia non è insolita e riguarda tutta la diocesi. Infatti, in questi giorni (il 17), ricorre la festa di questo Santo caro ai cittadini di Castellabate, ma è un po’ anche una festa diocesana, perché, quarant’anni fa (il 22 febbraio 1982), il vescovo Casale lo proclamava “Patrono secondario” della Diocesi di Vallo. Quindi, si tratta di un duplice festeggiamento coronato dalla visita al “soglio di Pietro”, dove in spirito saremo tutti presenti.
“San Costabile Gentilcore è l’unico cilentano, il cui culto ‘ab immemorabili’ fu solennemente riconosciuto dall’immortale Pontefice Leone XIII”, così esordiva mons. Alfonso Maria Farina nel ’79 nel suo ritratto dell’Abate e del suo culto pubblicato sulla rivista diocesana “Comunità in dialogo”, poi stampato in un opuscolo a parte. Dallo scritto emergeva la figura di un uomo vissuto a cavallo di due secoli (1064-1124, quindi tra due anni celebreremo il nono centenario dalla morte), nato nello scomparso casale di Tresino, presso l’attuale omonimo promontorio, da una famiglia considerata per tradizione di nobili origini, e divenuto monaco benedettino nella Badia della SS. Trinità di Cava fin dall’adolescenza. Qui, alla scuola dei suoi primi santi abati, crebbe nella fede e nell’amore dei confratelli, rivelando capacità umane e qualità spirituali fuori del comune.
“Dolce e mite – continua mons. Farina – fu definito dai contemporanei ‘mantello dei fratelli’, che compativa, proteggeva, incoraggiava. Quando non poteva giustificare le loro azioni, era sempre pronto a scusarne le intenzioni, conquidendoli alla santa causa del bene. Fermo nel sostenere i diritti di Dio e delle anime, fu rispettato e riamato da tutti, non esclusi i Principi del suo tempo, che è quanto dire!”
Con tali qualità, fece carriera in quel monastero benedettino che era in piena crescita e stava diventando uno dei centri da cui irradiava la latinizzazione religiosa del Meridione, un vero Ordine nell’Ordine di S. Benedetto (per Paul Guillaume ed altri, l’Ordo Cavensis). Divenne, infatti, nel 1118 coadiutore del terzo abate, il cluniacense S. Pietro Pappacarbone, che qualche decennio prima era stato il primo vescovo della ricostituita Diocesi di Policastro, e alla sua morte (4 marzo 1123) gli successe. Fu così posto a capo della “Congregazione Cavense”, che, grazie a numerose donazioni e continue acquisizioni a vario titolo, era già diventata una potenza religiosa ed economica, avendo alle sue dipendenze ben 179 tra cenobi (molti dei quali erano ex monasteri bizantini), chiese, terre e pertinenze varie. Pietro Ebner, nel suo celebre Chiesa baroni e popolo nel Cilento, parla di un “organismo spirituale ed economico tra i più potenti del Mezzogiorno”. A un certo punto, in una fase successiva, avrebbe avuto oltre 150 cenobi e 300 chiese dipendenti, divenendo una sorta di Cluny del regno di Sicilia.
Costabile non tenne a lungo quell’alto ufficio, morendo solo un anno dopo: egli, scrive ancora mons. Farina, “ricco di meriti, volò repentinamente, ma non impreparato, al cielo il 17 febbraio 1124”. Fece, però, in tempo ad iniziare la costruzione di una fortezza sulla collina sovrastante il cenobio di S. Maria di Gulia (ex monastero italo-greco donato, ci dice tra gli altri Piero Cantalupo, alla Badia di Cava circa cinquant’anni prima), poco distante dal luogo in cui era nato; fortezza che doveva difendere la costa cilentana, e i possedimenti cavensi, dagli insidiosi attacchi saraceni provenienti dal mare. La costruzione venne ultimata dal suo successore, il beato Simeone che rimase abate per circa vent’anni.
Quel castello, chiamato di volta in volta Castrum Abbatis, Castellum domni Abbatis, Castellum de Abbate, richiamò gente e, come spesso accadeva, fu all’origine di un casale divenuto via via più grande, fino ad essere il centro più importante dei possedimenti cilentani dell’Ordine cavense, la capitale del feudo che questo costituì nel territorio. Per secoli, quel Castrum e gli altri casali che la badia possedeva nelle terre attorno al “Monte Cilento” furono sottratti alla giurisdizione spirituale del vescovo di Capaccio e affidati a quella dell’abate della SS. Trinità, che ne rimase il legittimo vescovo fino agli inizi degli anni Settanta del Novecento. In quel decennio, l’ultimo residuo della diocesi cilentana dei benedettini di Cava – costituito dalle parrocchie di Agnone, Capograssi, Casalvelino, Castellabate, Marina di Casalvelino, Matonti, Ogliastro Marina, Perdifumo, S. Mango, S. Marco, S. Barbara, S. Lucia Cilento, S. Maria di Castellabate, Serramezzana, S. Antonio al Lago – passò in amministrazione apostolica al vescovo di Vallo (1972) e, dopo qualche anno, fu definitivamente incorporato in quest’ultima diocesi. Proprio per venire incontro alle richieste di quelle antiche parrocchie, che un po’ si sentivano private della loro storia, e per sanare contrasti e polemiche seguite a quella soppressione, mons. Casale decretò l’elevazione di S. Costabile a “Patrono secondario” e additò il suo esempio “quale modello altissimo di sequela Christi nella completa donazione di sé a Dio e ai fratelli ed espressione purissima di una fede cristiana incarnata nel nostro territorio”. Quasi a dire, insomma, che lo spirito benedettino di quelle parrocchie non sarebbe sparito, ma avrebbe costituito una componente fondamentale dell’anima religiosa della diocesi vallese.
L’odierna Castellabate è l’erede di quella fortezza benedettina e di tutta la storia che ne è discesa, per questo si onora di avere l’Abate Costabile (santo) come suo “Fondatore e Patrono” e l’Abate Simeone (beato) come suo “Confondatore” e, dal 1963, “Patrono secondario”.
“Accanto al sepolcro, che si era preparato per tempo, nella Grotta Arsicia della Badia di Cava, e nella sua Castellabate fiorirono innumerevoli prodigi, che ancora oggi lo fanno ritenere non un benefattore trapassato, ma vivente, al quale si può ricorrere in tutte le necessità. Tale e tanto è il fascino che si sprigiona ininterrottamente dalle sue reliquie e dalle sue immagini!”, così scriveva mons. Farina, ancora nel ’79, per esprimere la fede sua e dei suoi concittadini verso il santo abate. Aggiungeva, poi, anche con l’orgoglio campanilistico di chi si sentiva erede e custode di una plurisecolare storia religiosa: “Da quel malinconico crepuscolo del 17 febbraio 1124, in cui la luce di S. Costabile, appena sessantenne, si eclissò su questa terra per riaccendersi nell’eternità beata, è tutta un’epopea, che non ha trovato ancora il suo cantore”.
Quella fede, quella storia, quella tradizione sono ancora tutte vive e, oggi, riguardano l’intera diocesi. Per cui possiamo essere anche noi orgogliosi di quella visita a Pietro del 23 febbraio. In particolare, a Vallo conserviamo ancora tra i nostri ricordi la visita fatta nel febbraio 2020, quando iniziò il triennio di preparazione al quarantesimo anniversario di quest’anno. Allora, la nostra comunità portò la statua di San Pantaleone, patrono della diocesi, a Castellabate per farla partecipare alla processione del 17. Fu un’emozione non da poco vedere le effigi dei due patroni – che rappresentavano simbolicamente l’incontro tra l’Oriente di Pantaleone e l’Occidente di Costabile, tra il monachesimo italo-greco che ci donò il culto del Martire di Nicomedia e quello benedettino di cui l’Abate cilentano fu esponente di grande rilievo e fascino – attraversare le vie dell’antico paese ancora stretto attorno al castello voluto dal suo fondatore.
Allora non lo sapevamo, né avremmo mai potuto immaginarlo, che quella sarebbe stata l’ultima processione prima della pandemia, dichiarata da lì a qualche giorno, che ci avrebbe chiusi in casa per alcuni mesi e gettati in un’esperienza nuova per tutti, angosciosa e paradossale. Così il triennio di preparazione programmato in quel frangente ha subito dei necessari ridimensionamenti. Ci auguriamo che l’attenuarsi dell’epidemia consenta la normale celebrazione delle manifestazioni previste. E chissà, forse addirittura un bis della processione del 2020, ma qui a Vallo in occasione della festa di San Pantaleone!
Sarà il segno che l’emergenza si è conclusa e che ne siamo usciti anche grazie allo sguardo e all’azione protettiva dei due patroni.
Momenti dei festeggiamenti di San Costabile 2020