‘A Maronna ru Monte: la prima delle “Sette Sorelle”

Copertina del libro pubblicato nel 1933 dal rettore del Santuario, can. Luca Petraglia
Da L. Petraglia, Il Monte Gelbison e il Santuario, L. Spera, Vallo, 1933-XI
La chiesa del Santuario consacrata a settembre del 1917 (da L. Petraglia, Il Monte Gelbison e il Santuario…)
Da L. Petraglia, Il Monte Gelbison e il Santuario…
Il campanile consacrato a luglio del 1930 (da L. Petraglia, Il Monte Gelbison e il Santuario…)
Interno della nuova chiesa del Santuario (da L. Petraglia, Il Monte Gelbison e il Santuario…)
Frontespizio originale dell’opera di padre Bernardo Conti
Cartolina del Sacro Monte con mons. De Giuli e il can. Petraglia (fine anni ’30 – fonte Fb)
Tempera su muro di V. Formisano, Cappella del Vecchio Ospedale S. Luca, Vallo della Lucania, 1958 (da Un anno con l’arte sacra del maestro Vito Formisano, Calendario 2024 – maggio – foto F. Formisano)
Statua della Madonna del Sacro Monte nella nicchia della chiesa del santuario – 2024 (foto A. De Marco)
Frontespizio originale dell’opera dell’abate Celestino Telera
Peregrinatio Mariae 1949. Per la prima volta la statua della Madonna del Sacro Monte è portata a Vallo (foto G. Di Vietri)
Da L. Petraglia, Il Monte Gelbison e il Santuario…
Da L. Petraglia, Il Monte Gelbison e il Santuario…
Litografia dell’immagine della Madonna del Monte prima dell’incoronazione (1853)
Litografia dell’immagine della Madonna del Monte dopo l’incoronazione
Litografia dell’immagine della Madonna del Monte dopo l’incoronazione
Medaglietta celebrativa della Madonna del Monte (diritto)
Medaglietta celebrativa della Madonna del Monte (rovescio)

Author: manlio morra

4 thoughts on “‘A Maronna ru Monte: la prima delle “Sette Sorelle”

  1. Bella sintesi per il periodo post medievale ma richiede qualche aggiornamento in merito delle libert`q e rispetto dato al monachesimo italo-greco prima e dopo 1054 (come a San Batolomeo di Rossano) e le continuate confermazioni dei diriti del rito e disciplina greco dei monasteri italogreci particolarmente nel Salernitano dai principi normani di Salerno e della casa reale a Palermo.. Manca anche una fonte primaria e attendibile che verifica la popolare l’ipostesi non validamente fondata che i saraceni chiamavano Monte Sacro Gelbison. Bisogna consultare anche la bibliografia internazionale dalle scorse 30 anni che documenta con diplomi normanni/Svevi un aggiornato inquadramento della colonizzazione italo-greco nel meridione e la politica ecclesiastica del regno Normanno-Svevo. La moderna ricerca ci permette di non essere costretti di formulare solo dubiosi ipotesi e di sfatare certi vecchie ma popolare ipotesi.

    1. Grazie del suo commento critico e stimolante. Se ho capito bene ciò che intende, il mio testo le sembra poco documentato e scarsamente attento alla bibliografia più aggiornata, anche straniera. Questo soprattutto per quanto riguarda il corretto inquadramento della presenza e del ruolo degli italo-greci nel Salernitano. Le sembrerà strano, ma le do ragione! Il problema è che non era mia intenzione scrivere un saggio specialistico con note contenenti riferimenti a documenti e libri più o meno recenti, ma un racconto leggibile e “popolare”, abbastanza tecnico ma non troppo; insomma, qualcosa per leggere la quale non occorre una laurea o esperienze di ricerca in archivio, ma semplicemente un certo interesse per la storia, la cultura e le tradizioni locali. D’altronde, questo è l’intento del blog, come facilmente potrà rendersi conto leggendo gli altri articoli.
      In ogni caso, sia il riferimento al monachesimo bizantino sia quello alla vera origine del termine “Gelbison” sono volutamente posti al condizionale. Si tratta, cioè, di ipotesi anche se abbastanza credibili. Non mi sembra che esse siano state smentite del tutto dalla bibliografia cui lei accenna genericamente, che io non cito perché il testo non era destinato a una rivista accademica di storia.

  2. Grazie per l’accurata ricostruzione. In merito all’etimologia, è importante precisare che “sanam” in arabo significa “idolo” o “immagine idolatrica”. Questo termine era ampiamente utilizzato nell’epoca preislamica, conosciuta come Jahiliyyah, quando le tribù arabe veneravano oggetti di culto pagani. Con l’avvento dell’Islam, a partire dal VII secolo, l’adorazione degli idoli fu progressivamente abbandonata, e il termine “sanam” venne associato a pratiche religiose stigmatizzate. Sebbene sia rimasto nel lessico arabo, il suo uso si è ridotto principalmente a contesti religiosi o storici legati agli idoli preislamici, perdendo così rilevanza nella vita quotidiana.
    Pertanto, se “Gelbison” derivasse da questo ceppo linguistico, e contestualizzandolo anche in relazione alle invasioni saracene, l’oronimo dovrebbe apparire in epoche precedenti a quando inizia a comparire nei documenti storici. Al contrario, l’ipotesi germanica formulata dall’archeologo e antchista Luigi Vecchio, trova un contesto strutturato e ampiamente confermato, ossia quello delle ferriere. Ciò non toglie nulla alla sacralità del luogo o all’importanza del santuario. È fondamentale sottolinearlo a favore di quanti ci leggono e potrebbero fraintendere l’intento di chi approccia il tema con un metodo storico. Comprendere la vera storia — o quanto meno tentare di farlo — non fa che rafforzare la conoscenza del passato e il senso di appartenenza.
    In questo contesto, è opportuno notare che don Carmine come don Luca, rispettabili figure ecclesiastiche, non avevano conoscenze approfondite né dell’arabo né dell’etimologia, così come l’autore anonimo della nota su “La Rassegna Cattolica”, che sbaglia anche la citazione in arabo. Pertanto, non possono più essere considerati referenti sul tema. Senza voler sminuire il loro operato ecclesiastico, come si dice dalle nostre parti, “na cosa nun bai cu n’ata”.

    1. Sottoscrivo tutto ciò che dice. La sua critica costruttiva e, direi, istruttiva, è musica per chi fa un po’ di cultura. Seguendo il sito si sarà accorta che mi occupo in prevalenza di vicende legate alla storia contemporanea, con alcune incursioni un po’ più incerte nel medioevo e nell’arte. Naturalmente, non conosco l’arabo né ho particolare attitudine con l’etimologia delle lingue (a parte il testo omonimo di Isidoro di Siviglia!). Riferivo la paraetimologia tradizionale dell’oronimo “Gelbison” perché mi interessava evidenziarne l’uso fattone da quei rettori e dagli ecclesiastici in generale, derivato da autori dotti del ‘700 e dell’800, che spesso lavoravano di fantasia. Forse dal mio testo non emerge abbastanza questa lettura dall’interno di quel mondo, che giocava, e gioca, un po’ da rafforzativo della sacralità del luogo.
      Per altri aspetti, può leggere i commenti qua sopra, uno dei quali si avvicina al suo. Infatti, è proprio il sig. Shano ad avermi gentilmente fornito il saggio di Vecchio.

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