Ci sono uomini di Chiesa la cui vita lascia una traccia profonda che rimane ben oltre la loro scomparsa, un solco tenuto vivo da chi li ha conosciuti, a volte una vera e propria strada pronta ad essere percorsa da quanti ne coltivano la memoria e credono nella forza dell’esempio. Di sicuro, uno di essi è il sacerdote Mario Sibilio, il nostro don Mario, deceduto a novant’anni agli inizi del 2022.
A un anno da quella triste data, un libro lo ricorda e comincia a delinearne la figura pastorale e umana. È solo un inizio, ma è già il segno che quell’uomo ha ancora molto da dire, che la sua dipartita non è una scomparsa ma un cambiamento di stato, un passaggio dalla presenza alla memoria, dall’azione personale all’eredità sociale. Più che proporre una prematura storicizzazione del personaggio, quel volume consente la manifestazione della memoria collettiva, il dispiegarsi dell’affetto generalizzato destato da don Mario nel corso della sua vita. Infatti, al centro delle sue pagine si dipanano non solo alcuni suoi discorsi, lezioni e omelie, ma decine di testimonianze di persone che l’hanno conosciuto, frequentato, amato.
All’inizio di gennaio di quest’anno si è svolto nell’Aula consiliare di Vallo un incontro di presentazione del libro con gli interventi dell’autore, Luigi Rossi, del sindaco, Antonio Sansone, del delegato vescovile, don Franco Pecoraro, della prof.ssa Silvana Sorrentino, in rappresentanza dell’Associazione Amici di Cristo Sacerdote e Famiglia piccola Chiesa, fondata dallo stesso don Mario e organizzatrice dell’incontro, e di chi scrive. La sala gremita non è stata solo la cornice dell’evento, ma era già testimonianza visiva di un diffuso sentimento di riconoscenza che circonda la figura di quel sacerdote. Non si trattava, infatti, di semplici curiosi o del pubblico colto interessato alle novità editoriali locali; sì, c’erano anche costoro, ma il grosso dei presenti era lì per un altro motivo, per ricordare un sacerdote amico, un uomo sincero sempre disponibile all’aiuto, al conforto, all’incontro. Nell’aula quasi aleggiava la presenza spirituale di don Mario, qualcuno vi ha accennato, a molti è parso vero, forse suggestionati dall’atmosfera o dal desiderio di godere ancora della sua presenza. L’incontro ha così assunto i toni di una celebrazione laica di cui nessuno è stato solo un semplice spettatore, ma tutti si sono sentiti coinvolti in prima persona.
Dalle relazioni tenute e dalle pagine lette emerge la figura di un sacerdote completamente dedito alla sua missione, capace di portare ovunque l’efficacia di una forte azione pastorale e di un altrettanto forte impegno sociale. Le comunità che lo hanno avuto come parroco non hanno dimenticato le sue capacità di mettersi in ascolto delle loro esigenze e al servizio della loro crescita. Sia a Cardile, dove ebbe il primo incarico di parroco nel ’56, che a Pellare, dove svolse lo stesso ufficio dal ’57 al ’68, dando vita a un’intensa esperienza di animazione comunitaria – come ha avuto modo di ricordare di recente l’attuale parroco di “S. Bartolomeo Apostolo”, don Angelo Imbriaco, nel suo bel libro-testimonianza Don Mario Sibilio a Pellare – seppe farsi interprete delle dinamiche sociali e religiose. Non meno coinvolgenti furono le sue esperienze di pastore svolte a Vallo, dove fu parroco di Santa Maria delle Grazie dal ’75 all’80 e dall’83 al ’96, dando nuovo splendore al culto della Madonna e organizzando i festeggiamenti del “decennio” del ’78 e del “bicentenario” dell’88, e a Massa, dove tenne la parrocchia di S. Maria della Vittoria dal ’92 al 2015, instaurando con i fedeli locali un fecondo rapporto di paternità spirituale. Fu anche reggente della Cattedrale di “San Pantaleone” di Vallo per un breve periodo (dall’86 all’88), un momento di passaggio, poco prima della sua riapertura al termine dei restauri per i danni causati dal terremoto del novembre 1980.
Pur nella loro diversità, legata alle caratteristiche locali e ai tempi anche assai distanti tra di loro, si trattò sempre dello stesso modo di declinare il ruolo di parroco, quello di un uomo che vive i problemi dei suoi parrocchiani, che legge e sa capire le forme e le manifestazioni della pietà popolare, senza temere di correggerne errori e storture. In altri termini, che rappresenta la sua comunità fino a incarnarne bisogni, dolori, gioie e speranze.
L’ufficio di parroco si incrociò sempre con altri incarichi, da quello di Rettore del Seminario diocesano (dal ’73 al ’75 e dal ’79 all’82) a quello di docente nelle scuole interne dello stesso istituto (dagli anni Cinquanta) e di insegnante di religione alla Scuola di Avviamento prima (dal ’60) e al Magistrale poi (nello stesso decennio e anche in seguito). In tempi più recenti il vescovo Favale gli affidò anche il delicato incarico di Vicario generale, che tenne per dieci anni (1995-2005). Dovunque portò serietà e sorriso, rigore e comprensione, non venendo mai meno alle incombenze anche gravose di ogni ufficio ma vivendole sempre con la serenità del cuore e l’affabilità dei modi.
Nel suo lungo ministero – durato tutta una vita, da quell’estate del ’55, quando fu consacrato sacerdote da mons. Pezzullo a Gioi, a praticamente pochi mesi prima della morte – coltivò l’amore per i giovani con quella forma di apostolato laicale che è l’Azione Cattolica. Vi si impegnò spronato dai suoi vescovi e dalle convinzioni personali, riuscendo in ognuna delle sue parrocchie a farne lo strumento principe per coinvolgere i giovani, avvicinarli alla fede e magari alla vocazione. Fu, questo, un ambito nel quale fece carriera perché il successo ottenuto nelle parrocchie lo fece notare a mons. D’Agostino, grande fautore dell’AC, che lo nominò già nel ’58 Vice-Assistente diocesano della Gioventù Femminile, il ramo più numeroso e attivo dell’associazione, e nel ’66 Assistente dello stesso settore, in sostituzione di mons. Alessandro Salati, ritiratosi dopo circa trent’anni di lavoro nello stesso campo di apostolato. In quell’anno assumeva anche l’incarico più generale di Vice-Delegato vescovile dell’AC, coadiuvando l’azione del Delegato, mons. Francesco Signorelli.
È il periodo di maggiore espansione dell’Azione Cattolica in diocesi, che arriva – soprattutto con i gruppi giovanili – ad essere presente praticamente in ogni parrocchia e a coinvolgere un folto gruppo di laici nelle attività dirigenziali. Tutti ricordano l’insegnante Ernesto Nicoletti, a lungo Presidente diocesano e uomo di fiducia di D’Agostino. Ma sono anche anni difficili per l’apostolato giovanile, gli anni del Vaticano II, del nuovo ruolo assegnato al laicato, della cosiddetta “scelta religiosa” operata dall’AC del presidente Bachelet e resa concreta dal nuovo statuto del ’69.
Don Mario vive tutto ciò col suo consueto impegno, obbediente ai nuovi indirizzi ma anche consapevole dei cambiamenti in atto. Il suo amore per i giovani non viene meno, anzi sembra incrementarsi come mostra l’apprezzamento del vescovo che, nel ’72, lo propone alla Conferenza episcopale regionale come Assistente per il Salernitano del settore giovanile della rinnovata Azione Cattolica. Proposta subito accettata, e così il nostro, insieme a don Paolo Pifano di Policastro, va a coadiuvare mons. Settimio Cipriani, che è l’Assistente di AC per la Regione ecclesiastica salernitano-lucana.
Possiamo solo immaginare l’aumento dei suoi impegni a favore dei ragazzi e dei giovani con gli esercizi spirituali, i campi scuola, i convegni per i dirigenti e gli assistenti, gli incontri di formazione, i corsi organizzativi e spirituali, le numerose occasioni di svago, di preghiera, di amicizia. Per lui, tutto era cominciato con quei Gruppi Estivi (GREST) con cui portava sulla Civitella i giovani di Pellare – quando era il loro parroco e anche qualcosa di più – a fare campeggio, ma anche a pregare, socializzare e cercare la propria vocazione.
Ricordo quando, nel 2018, in occasione dei festeggiamenti per i cento anni dell’Azione Cattolica diocesana, disse, alla presenza di Raffaele Cananzi, presidente nazionale dell’AC italiana dall’86 al ’92, che per lui celebrare tale traguardo per la massima associazione di impegno cristiano in diocesi era “motivo di soddisfazione, di gioia, di santo orgoglio”. Ecco, in quest’ultima espressone c’è tutto il don Mario che abbiamo conosciuto: mite, sincero ma consapevole del suo impegno e della sua fedeltà.
E allora non possiamo stupirci di quanto scrivono molti amici dell’Azione Cattolica ricordandolo, spesso commossi, sempre riconoscenti, come assistente e molto di più. Per Elide Marrocco, ricordarlo “significa ricordare una figura straordinaria di santo sacerdote, di parroco, di pastore di tante anime. Don Mario, uomo di preghiera, aveva un cuore di padre, sempre accogliente, sempre ricco di amore per tutti, tanti giovani andavano da lui per una guida spirituale, per un dialogo, per un consiglio. Intere generazioni si sono formate col suo aiuto spirituale, così anch’io da giovane, quando ero alla ricerca della mia vocazione, ho cercato la guida di Don Mario”. Aiuto prontamente arrivato attraverso insegnamenti e vicinanza spirituale, come nel caso di Mara di Fluri che ricorda un momento particolare della sua giovinezza, assai emblematico: “L’ho conosciuto durante un campeggio dell’Azione Cattolica: era il nostro assistente e ci seguiva in diverse attività. Il ricordo più nitido di quel campeggio è quello di una scalata sul monte Gelbison, per raggiungere il santuario dedicato alla Madonna. Partimmo durante la notte, per evitare il sole caldo del giorno e salimmo per diversi chilometri tenendoci per mano, in cordata. Don Mario era la nostra guida e si avvicinava ora all’una ora all’altra per aiutare chi era in difficoltà o scambiare qualche parola e raccogliere qualche confidenza”. Quella cordata, per lui, era tanto reale quanto simbolica, perché rappresentava la scalata verso la “vetta della Resurrezione” da compiere insieme durante tutta la vita, come conferma la stessa testimone.
Don Mario come padre, guida, di più… come “angelo custode”: “A chi non crede che il Signore ci abbia messo accanto un angelo custode, secondo me sbaglia, – scrive Emilia Rizzo – perché io so, sono certissima che io l’abbia sempre avuto e so anche il suo nome. Il mio angelo custode si chiama: ‘don Mario Sibilio’. Dico: ‘si chiama’ e non ‘si è chiamato’ perché fino a quando il Signore mi darà vita lui mi starà sempre accanto e mi proteggerà. Parlo di protezione perché lo ha fatto da sempre, da quando ero piccola fino a quando, da adulta, andavo da lui a confessarmi … Mi faceva sentire ‘libera’ di amare tutto e tutti, ma nella verità’ ”. Una testimonianza davvero forte, come quella di Lucia Rizzo che, a proposito del suo impegno per la Gioventù Femminile, scrive: “Si spendeva con tutte le sue forze e in mille modi a promuovere iniziative, incontri capaci di sviluppare il senso di responsabilità a livello personale e comunitario, per poter vivere alla luce della Verità, la propria scelta di fede”. E continua: “La guida illuminata, saggia e autorevole di Don Mario si è rivelata per me un punto di riferimento, un aiuto costante e valido per la mia crescita spirituale e umana. Mi ha permesso di ‘Entrare nella logica di Dio’, ‘la logica dell’Amore’. Il suo gioioso e incisivo annuncio del Vangelo, il suo modo di pregare, la celebrazione della Santa Messa, con i suoi momenti forti della Parola e dell’Eucarestia, resi vivi e coinvolgenti, manifestavano il suo intimo e sentito rapporto con Cristo Amore. La sua testimonianza di fede e di amore, amore che si è fatto dono per l’altro, la sua capacità di ascolto e di risposte propositive e incoraggianti hanno fatto di lui una guida esemplare e santa”.
Per tutti, ricordarlo è come rivivere momenti importanti della propria vita. Così, per Peppino Palladino che ricorda un episodio del ’59, quando, con l’animo turbato da un rimorso, bussò, di notte, alla sua porta e lui “mi aprì senza mostrarsi sorpreso, come se mi aspettasse, aduso a ricevere visite nelle ore più impensate e ad accogliere chi aveva bisogno della sua assistenza di medico delle coscienze, del suo sostegno e delle sue illuminazioni per riacquistare l’equilibrio interiore smarrito”. Il conforto ricevuto da quella visita fu l’inizio di un rapporto fatto di tante visite: “Bastava un colloquio di pochi minuti per farmi riorientare, verso la giusta direzione, il timone della mia incerta navigazione in acque molto spesso agitate e pericolose: gli incontri con don Mario per me rappresentavano l’attracco in un porto sicuro nel quale rifugiarmi durante le tempeste e ripartire, ritemprato, ad affrontare difficili itinerari con le idee chiare e i sentimenti rinfrancati”.
Ma il nostro sapeva essere anche “maestro di silenzio”, come racconta Gaetano Toti, ancora dell’AC diocesana, a proposito di un campo-scuola svoltosi a S. Maria di Castellabate, dove si era recato per parlare, discutere, confrontarsi. Don Mario però prese tutti in contropiede invitando i ragazzi a passeggiare in silenzio per il giardino di Villa Lucia, dove si svolgeva l’incontro, e aggiunse: “non parlate con chi incontrate, contemplate solo la natura e ciò che vi circonda”. Dopo un paio d’ore chiese al giovane com’era andata quell’esperienza e questi gli comunicò i suoi dubbi nell’essere stato costretto a rincorrere i suoi pensieri: “Don Mario, mi guardò e con il suo sorrisetto inconfondibile mi disse: ‘Visto? Oggi hai imparato il valore del silenzio e dell’ascolto. Il ‘silenzio’ ci lascia soli e indifesi con i nostri pensieri, i quali spaziano liberi e incontrollati, senza alcun filtro, fanno scorrere davanti ai nostri occhi i fotogrammi della nostra vita, ci inducono a confrontarci con la solidità o la fragilità dei nostri progetti, ci fanno prendere coscienza dei nostri limiti ma anche dei nostri punti di forza. Il silenzio ci fa vedere le cose e le persone nella loro essenza più vera senza essere distratti dai rumori della vita quotidiana e senza essere deviati dalle parole, dai consigli e dagli ammonimenti di chi ci circonda. Ma il silenzio non è solo il mezzo per una riflessione intimistica, è la condizione necessaria per ‘l’ascolto’. Ascolto come presa di coscienza non solo di quella che è stata ed è la nostra vita, ma anche dei bisogni, delle esigenze e dei problemi del prossimo. Ascolto della Parola di Dio, del Verbo, … ‘Silenzio’ ed ‘ascolto’ che ci portano al colloquio con il Padre, cioè alla ‘Preghiera’. La Preghiera non è il ripetere formule imparate a memoria da piccoli, ma è rapporto vivo e quotidiano con il Signore, esigenza di aprirsi, di confessare i propri dubbi e le proprie debolezze, è la necessità di ricevere amore, conforto e comprensione. La ‘Preghiera’ è lo strumento per trovare la forza di ‘sporcarsi le mani’ tra i fratelli e per i fratelli”. Il giovane di allora confessa nella sua testimonianza odierna di aver ascoltato quelle parole “in apnea”, parole “che oggi – continua – possono sembrare scontate ma che all’epoca, almeno per me, erano rivoluzionarie”. No! – aggiungo – quelle parole sono “rivoluzionarie” ancora oggi, ad ascoltarle bene, cioè nel silenzio interiore.
Del valore del silenzio parla anche Maria Lucibello, catechista di Vallo negli anni in cui fu parroco di S. Maria delle Grazie, a proposito dei ritiri spirituali organizzati per i ragazzi che si preparavano alla Prima comunione. Si arrivava nel luogo prescelto, che era il Getsemani di Paestum o la Villa S. Cuore di Ascea o, ancora, il convento dei francescani di Pollica, e qui veniva svolta la prima riflessione in una sala appositamente preparata: “Don Mario aspettava davanti alla lavagna, sulla quale aveva già scritto la sua espressione matematica, che serviva a tener desti e attenti gli ascoltatori: RS = (a + r + p)s. Che vuol dire Ritiro Spirituale = (ascolto + riflessione + preghiera) tutto elevato al silenzio”. Si trattava dello stesso percorso interiore proposto ai giovani dell’Azione Cattolica e, con ogni evidenza, a quanti chiedevano consigli di natura spirituale. Solo dal silenzio nascono l’ascolto e la preghiera, e solo così si è cristiani del dialogo, della comprensione, della condivisione. Che è poi l’unico modo di esserlo.
Anche i confratelli sacerdoti ne hanno riconosciuto le non comuni doti pastorali. Don Angelo Imbriaco, che era stato uno dei ragazzi da lui coinvolti nelle attività parrocchiali a Pellare, usa per lui due aggettivi, mutuandoli da Steve Jobs. Nel contesto della Chiesa in “aggiornamento” degli anni ’50 e ’60, “don Mario, pur ancorato a impianto pastorale tradizionale, si dimostrò ‘creativo e folle’. … sognò e realizzò con testardaggine e sacrifici la costruzione di un nuovo edificio religioso per la comunità, una volta che l’antica chiesa parrocchiale era stata chiusa al culto in seguito alla frana. Inviò lettere, circolari, manifestini; organizzò due viaggi in Venezuela per incontrare la numerosa colonia pellarese, ivi residente; istituì un ampio comitato per coinvolgere tutte le famiglie, chiamò a raccolta uomini e donne per accelerare i lavori in corso. Il sogno divenne realtà nel 1966. Venne realizzato in tempi rapidissimi un nuovo, maestoso e ampio edificio religioso a pianta circolare, ispirato alla ecclesiologia di comunione, voluta dal Concilio”. E poi l’impegno per la formazione dei giovani con la realizzazione di un campo sportivo sulla Civitella, di una squadra di calcio e l’invenzione del Gruppo estivo di Azione Cattolica col quale si organizzava il campeggio in una settimana d’agosto: “Quasi tutti i giovani pellaresi sono passati attraverso questa geniale proposta formativa, che ha lasciato un’orma profonda nel loro animo e nacquero numerose vocazioni laicali al servizio del Vangelo”.
Per don Guglielmo Manna, “non basta nella vita chiamarsi sacerdote. L’uomo vero è una creatura speciale. Possiede una natura diversa nella sua completezza e ciascuno in particolare deve cercare di viverla eroicamente per contribuire alla crescita vera del mondo. Don Mario Sibilio si pone in questa complessità e si presenta a tutti come un uomo ‘modello’, che si è trasformato in vero e autentico sacerdote, sia nel suo ‘essere’ che nel suo quotidiano agire”.
Il vicario generale, don Franco Pecoraro, e don Roberto Guida di Castellabate mettono in evidenza la sua capacità di coinvolgere i laici. Quest’ultimo scrive: “Don Mario è stato innanzitutto un uomo, un sacerdote che ha saputo stare ‘accanto’, in una vicinanza affettiva ed effettiva a tutte le persone che ha incontrato, conosciuto, durante diversi incontri nella sua vita. Una vicinanza soprattutto verso i più poveri, oggi diremmo, ‘periferie esistenziali’, che ha esercitato con paternità e discrezionalità, senza clamore. … Un sacerdote alla cui scuola di vita e di spiritualità hanno attinto e si sono formati tanti laici dell’Azione Cattolica e non. Nelle catechesi, nei campi sociali, in parrocchia Don Mario è stato un convinto ‘sostenitore’ del ruolo dei laici, con il sacerdozio battesimale sottolineato nei documenti del Concilio Vaticano II”. Quanto al primo, ricorda che “era punto di riferimento per i sacerdoti. Aveva una particolare propensione al coinvolgimento e alla formazione dei laici, in particolare sostenendo le associazioni cattoliche. … Fu iniziatore e promotore dello scoutismo a Vallo della Lucania; contentissimo del mio servizio nell’AGESCI come assistente ecclesiastico, mi ha molto incoraggiato a dedicarmi a questa esperienza, con tanti buoni consigli. Ha fortemente promosso e diffuso l’Apostolato della preghiera nella nostra Diocesi. Curava molto il decoro della liturgia”.
L’accenno agli scout, di cui parlano anche altri testimoni, si riferisce alla nascita a Vallo del gruppo dei scout cattolici voluto, insieme ad altri, da don Mario e realizzato nell’88 quando era parroco di S. Maria delle Grazie e ne divenne anche assistente ecclesiastico. Si trattava di un modo non molto diverso da quello dell’Azione Cattolica per far socializzare i giovani e trasmettere loro lo spirito e l’esempio cristiano.
Infine, l’arcivescovo Giuseppe Casale ricorda che “con Don Mario non ti sentivi mai come con un estraneo, ti sembrava della tua famiglia. Così fu la prima volta quando lo incontrai insieme con i rappresentanti ufficiali di Vallo. Allora Don Mario non si mise insieme con gli altri, si mise dietro e accompagnava tutti con il sorriso, con una carezza sulle spalle”. E ancora, ricorda “il suo attaccamento a Santa Maria delle Grazie, dove lui aveva organizzato bene la catechesi, l’Azione Cattolica e i vari movimenti parrocchiali. Amava molto la liturgia … Ha sempre amato i giovani”.
In definitiva, le tante testimonianze raccolte formano un quadro ampio e composito di una vita al servizio degli altri. Se ognuno ha il suo don Mario, le tessere di queste varie esperienze di vita e di spiritualità convergono su un punto: quell’uomo, quel sacerdote che tutti abbiamo imparato a conoscere non lasciava mai indifferenti, col suo sorriso e il suo sguardo, col suo cuore sincero e la sua parola franca sapeva incontrarti nel profondo, donarti la sua amicizia e, con essa, mostrarti il volto amico di Gesù.
Complimenti, more solito.
Sarebbe il caso, con la collaborazione dei tuoi lettori, di fare un elenco delle foto e indicare le persone effigiate , per non metterle fuori ………della storia .
Ottima idea! La rilanciamo a tutti i lettori: inserite nei vostri commenti i nomi delle persone che riuscite a identificare nelle foto dell’articolo. Potete anche farlo dalla pagina Fb collegata al sito. Spesso è difficile riconoscere qualcuno, soprattutto nelle foto più antiche e in bianco e nero, ma la sfida è lanciata. Non siate reticenti!!