Se dovessimo indicare dove recarsi per ammirare una delle maggiori emergenze artistico-culturali di Vallo e del suo territorio, non avremmo dubbi. Tutti – credo di poter affermare – metteremmo in cima alla lista un solo nome: la Cattedrale di San Pantaleone. Qui, tra le tante opere, si trova un monumentale organo risalente alla fine del Settecento che, ancora oggi a quasi 240 anni dalla sua costruzione, desta lo stupore del visitatore attento e consapevole, per la sua grandiosità, il suo valore estetico e, soprattutto, per la qualità tecnica dello strumento che emerge ascoltandone il suono durante un concerto o un momento liturgico.
Quell’organo è intimamente legato alla chiesa in cui si trova, fu realizzato apposta per essa e vi fu collocato nel 1784, pochi decenni dopo la sua erezione, ultimata nel 1752, mentre ne venivano completati gli arredi artistici e liturgici interni. Esso racconta, quindi, un pezzo della storia religiosa e artistica locale, ma anche di quella socio-economica; rende conto dello sviluppo della nostra cittadina in quel secolo, dell’industriosità dei suoi abitanti, che erigevano una chiesa tutta nuova, di grandi dimensioni, capace di rispondere all’aumento della popolazione registrato in quei decenni e all’accresciuto prestigio ottenuto dall’Università. E tutto questo, un secolo prima che quella chiesa divenisse Cattedrale della nuova e antica diocesi di Capaccio-Vallo (1851); e mezzo secolo prima che il paese diventasse il centro di un ampio circondario.
Ma più interessante ancora è che quell’organo non nasce dal nulla, ma da una rinomata bottega di artisti artigiani vallesi, quella dei Carelli. Bottega che si inserisce ed è espressione, appunto, di quel contesto di forte sviluppo e di crescente attivismo che il paese stava vivendo all’epoca.
L’organo è firmato dal principale esponente della bottega, Silverio Carelli che lavorava insieme al fratello Francesco. E fu proprio per rispondere a un voto esaudito che Silverio si impegnò a realizzare gratuitamente lo strumento. Riferendosi a quest’ultimo, così scrive il can. Giovanni Maiese nel suo Vallo Lucano e suoi dintorni:
L’organo della Cattedrale di Vallo lo costruì gratuitamente nel 1784 per conto della Congrega del SS. Sacramento che sostenne le spese del solo materiale occorrente. S. Pantaleone gli aveva strappato dalla morte il fratello Francesco ed egli se ne sdebitò con quell’insigne capolavoro in testimonianza della sua religione e della sua fede. Lo dice lui stesso nella epigrafe che fino a pochi anni fa leggevasi sul davanti dell’organo.
I Carelli erano confratelli dell’antica congrega vallese – risaliva al 1572 – che fu quindi una specie di committente dello strumento contribuendovi in maniera decisiva, anche se Silverio lo realizzò per decisione personale. Decisione che evidenzia la sua devozione a San Pantaleone. Questo ci consente un’osservazione di un qualche interesse, e cioè che, alla fine di quel secolo, la devozione verso il Santo martire – di cui già da alcuni decenni si conservava in paese la reliquia del sangue – era assai diffusa (incrementata proprio dall’arrivo della reliquia) e probabilmente quello del “Divo Pantaleony Martyri” si stava imponendo come il culto principale. L’organo Carelli è, dunque, frutto del legame tra Vallo e il “suo” Santo. Non a caso, lo si usa prevalentemente in occasione della novena a lui rivolta in preparazione della sua festa a luglio. È come se nella sua musica – e in quella circostanza – risuonasse il riflesso di quell’antica grazia, consentendo a mastro Silverio di parlarci con la sua arte e, ancor più, con la sua fede (ricordiamocene quando celebreremo le prossime novene).
Naturalmente, l’organo dei Carelli non è arrivato a noi, ancora funzionante e operativo, senza un’attenzione continua e una cura particolare. Anzi, ci si è intervenuti più volte per manutenzioni e sistemazioni di vario tipo. L’ultimo di questi interventi risale agli anni Ottanta dello scorso secolo, quando fu eseguito un complessivo restauro dell’organo e della cassa lignea che lo contiene. Ma la sua ricollocazione in chiesa fu possibile solo agli inizi del decennio seguente, a causa dei lavori di cui fu oggetto l’intera chiesa in seguito al terremoto del novembre 1980.
In quell’occasione, la diocesi di Vallo curò una piccola ma preziosa pubblicazione scritta da Gaetano De Luca e Gaetano Di Vietri, oggi divenuta quasi introvabile. In essa, non solo si dava conto dei lavori di restauro, ma si cercava – riuscendoci egregiamente – di ricostruire la storia dello strumento e di inserirla nel più vasto contesto possibile.
Ricorrendo a un’ampia documentazione archivistica pubblica e privata, non solo locale, e a una discreta ricognizione bibliografica, i due autori ricostruivano le vicende dell’organo, anche quelle ottocentesche riguardanti la manutenzione e i rapporti con la Congrega del SS. Sacramento, e rendevano conto delle sue caratteristiche e del suo stato di conservazione prima del restauro.
Ma assai significativa era la storicizzazione della bottega Carelli e il tentativo di inserirla, pur nella scarsità di documenti, nell’intera industria organaria dell’epoca. Non a caso, il volumetto recava il titolo Organi e organari a Vallo nel ‘700, a significare l’esistenza di, appunto, una vera industria organaria locale, che si collocava a metà tra arte e artigianato, capacità tecniche e gusto estetico.
Quando i Carelli entrano in azione, esistevano in diocesi già almeno 50 organi, come risulta dalle visite pastorali compiute nel corso del Seicento. Ciò comporta l’esistenza di vari organari in attività in quel secolo e ancor prima, purtroppo del tutto sconosciuti.
I fratelli Carelli apprendono l’arte dallo zio Zacharia Pinto di Corinoti, attivo a partire dagli anni Venti del Settecento. Scrivono i nostri autori: “Non sappiamo da chi Zacharia abbia appreso l’arte organaria; certo è che la sua formazione non può che essere avvenuta presso una bottega essendo da escludere, viste le realizzazioni del nostro, una formazione da autodidatta”. Una prova in negativo che l’attività organaria fosse già antica e diffusa divenendo, appunto, un’industria.
Pinto lavora un po’ in tutto il territorio. Realizza organi, ad esempio, per la cappella di S. Michele a Pisciotta (1743), per la chiesa di S. Eustachio a Gioi (1733), per quella di S. Maria Assunta di Celso (1746). Quando comincia ad avvalersi dell’opera dei nipoti, entrati giovani in bottega, Silverio (1728-1807) e Francesco (1729-1800), l’attività si incrementa. De Luca e Di Vietri documentano la realizzazione di oltre dieci organi dagli anni Cinquanta, quando Zacharia è ancora vivo, agli inizi dell’800. E l’elenco non è completo, perché i Carelli lavorano anche fuori regione e a Napoli, dove nel 1762 realizzano lo splendido organo della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli che, per aspetto e funzioni, rimanda a quello costruito a Vallo circa vent’anni dopo. Questa ricognizione – la prima e l’unica all’epoca e, credo, anche attualmente – è l’acquisizione più importante nello scritto dei due autori.
Veniamo così a sapere che i Carelli sono attivi a Campagna per l’organo della Cattedrale (1756), a Rofrano nella chiesa di S. Giovanni Battista (1758), a Napoli come accennato, a Sacco nella chiesa di S. Silvestro (1768), a Capizzo nella chiesa di S. Fortunato (1778), a Capaccio nella cappella del SS. Rosario (1783). E ancora, negli anni seguenti, a Eboli, a Novi, a Terradura, a Postiglione, a Buccino.
Insomma, sono richiesti dappertutto per la qualità dei loro manufatti e, presumibilmente, per la fama della loro realizzazione più prestigiosa e costosa, quella dell’organo napoletano.
La bottega non muore con i due fratelli, ma ha dei continuatori negli organari Vito Di Lorenzo, Pietro Cono Di Lorenzo e Valeriano Passaro. Quest’ultimo, imparentato con i due fratelli, aveva anche partecipato alla realizzazione dell’organo di Vallo.
La ricostruzione nel volumetto indicato è molto più articolata e documentata di quanto abbiamo riassunto. Ma qui si intendeva solo ricordarne l’uscita e ribadirne la validità, al punto che sarebbe auspicabile ripubblicarla, magari aggiornata ed estesa.
Sappiamo che il discorso sul nostro organo e sui tanti esistenti nel Cilento non è caduto nell’oblio in cui troppo spesso abbandoniamo le cose del nostro territorio. Esso è stato fatto proprio dall’associazione Genius Loci Cilento, animata dalla passione del suo Presidente, Giuseppe Di Vietri (non a caso, figlio e nipote degli autori del libretto del ’92), che due anni or sono – in epoca pre-covid – si è fatta promotrice dell’iniziativa di cui diamo qui sotto la locandina.
Sulla scia di quel lontano restauro, l’associazione intende gli organi storici
espressione diretta e profonda delle comunità locali, della loro spiritualità, della loro devozione ma anche della loro ricerca di prestigio attraverso un manufatto di pregio realizzato da maestranze locali il cui saper fare artistico e artigiano le rendevano rinomate in tutto il Mezzogiorno d’Italia.
Ne promuove la manutenzione ordinaria e straordinaria, in pratica il recupero dall’abbandono in cui spesso versano al fine di utilizzarli nuovamente per la liturgia e per i concerti. Ma soprattutto per farne un’occasione di incremento dell’offerta culturale e turistica e, quindi, di sviluppo.
Immaginando di poter fare in un futuro non lontano un percorso artistico-culturale del tipo “andare per gli organi storici del Cilento”, all’iniziativa non possiamo che augurare il massimo successo.
Che dire ?!… Un articolo che , nemmeno a dirlo, è musica per i Vallesi. Speriamo di poter leggere ancora dei Carelli e della loro bottega. Grazie Manlio e grazie a chi, ancora oggi, spolvera i ricordi e da fiato alle canne del Carelli.
Anche a Trivigno c’è un organo Carelli. Tutt’ora funzionante.
Notizia interessante che conferma l’operatività della bottega Carelli ben oltre l’area cilentana e regionale.
I miei complimenti per un’analisi ben articolata a memoria di un lavoro storico eseguita da illustri vallesi. Da misicista non posso che sottolineare la strabiliante sonorità che l’organo produce, elevando l’animo soprattutto durante le celebrazioni liturgiche. Riflettendo sulle varie botteghe organarie a Vallo e la molteplicità degli organi esistenti in Diocesi, ho immaginato chi suonava questi strumenti e chi avrebbe insegnato loro l’arte organistica. Qualche riferimento con i famosi Conservatori partenopei molto in voga nel periodo di costruzione del nostro organo? O altro? Sarebbe interessante averne notizie.
In attesa esprimo ancora i miei complimenti a chi ha a cuore della sopravvivenza “storica” e “musicale” del nostro organo.
Grazie al Maestro Iacovazzo per i complimenti, che giro agli autori dell’aureo libretto, i due Gaetano. Quanto alle sue curiosità, legittime e condivise, su chi potesse suonare quegli organi, piacerebbe anche a me saperne qualcosa. Se i Carelli hanno lasciato traccia della propria arte anche a Napoli, con l’organo della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, non è improbabile che qualche contatto con i Conservatori napoletani possa esserci stato. Forse, a suonare gli organi – almeno quello vallese – dovevano essere gli stessi suoi costruttori o, chissà, anche per questo c’era in zona una tradizione, magari una scuola che faceva il paio con le botteghe degli organari. In fondo, le due cose si richiamano a vicenda.
Complimenti per il vostro blog e le vostre iniziative culturali che ho conosciuto purtroppo solo recentemente cercando notizie sull’organaro Leonardo Carelli, il quale unitamente agli altri (Zaccaria Pinto, Silverio Carelli ecc.) rappresenta un vera gloria per Vallo della Lucania. Antonio Serio, già docente del Conservatorio di Musica di Potenza.