Quando tre vescovi resero omaggio alla figura di don Enrico Nicodemo

Esattamente due anni fa, presentavamo qui a Vallo il mio lavoro sul sacerdote Enrico Nicodemo. In un freddo pomeriggio di inizio dicembre (per l’esattezza, il 9), nell’Aula consiliare sita nel Palazzo della Cultura (per una singolare coincidenza, in via Mons. Nicodemo), tre relatori d’eccezione onoravano me e tutto il pubblico, ma soprattutto la memoria di don Enrico, con la loro partecipe presenza. Si trattava di tre vescovi: il “nostro” mons. Ciro Miniero, l’ordinario della confinante diocesi di Teggiano-Policastro, mons. Antonio De Luca, e l’arcivescovo della diocesi di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci.

L’insolito trio di presuli non era lì per un qualche rito religioso o di altro genere, ma a rappresentare ciascuno un pezzo della storia umana ed ecclesiale di don Nicodemo: le origini a Tortorella, in diocesi di Policastro; la formazione nella diocesi di Capaccio-Vallo; l’episcopato nell’arcidiocesi di Bari. Da qui il particolare significato della presenza di ognuno di essi e del gruppo nel suo insieme, simboli delle singole tappe di una vita – Tortorella, Vallo, Bari – e dell’intero percorso, dal sacerdozio all’episcopato.

L’ospite più prestigioso, e anche quello proveniente da più lontano, era mons. Cacucci, nel 2019 ancora sulla cattedra di san Nicola, particolarmente coinvolto nell’iniziativa di ricordare la figura di don Nicodemo perché si trattava del vescovo che, nel lontano ’66, lo aveva ordinato sacerdote, seguendolo poi nei primi anni del suo ministero, coincidenti con la difficile fase dell’immediato postconcilio. Dunque, lui più degli altri era interessato a scoprire la formazione di quel vescovo, le radici del suo vescovo consacrante.

Il convegno del 9 dicembre 2019
Il convegno del 9 dicembre 2019
Momenti del convegno
Momenti del convegno
Momenti del convegno
Momenti del convegno
A sin., mons. De Luca, al centro, mons. Cacucci, a des., mons. Miniero
A sin., mons. De Luca, al centro, mons. Cacucci, a des., mons. Miniero

Ma chi è Enrico Nicodemo? Perché ancora oggi ci interessa la sua figura, al punto che la curiosità di mons. Cacucci può dirsi anche la nostra?

Per capirlo, dobbiamo riportarci a quell’8 aprile del 1945, quando, mentre la guerra in Europa volge al termine, in una cattedrale di Vallo tutta bardata a festa si svolge la solenne cerimonia per la consacrazione episcopale del vicario generale del vescovo diocesano Raffaele De Giuli, da quindici anni teologo del capitolo di quella stessa cattedrale. L’uomo in questione è proprio don Enrico e l’evento, che coinvolge l’intera cittadina rappresentando simbolicamente un po’ la sua uscita da quel conflitto, o almeno l’inizio della rinascita postbellica, è raffigurato in un bel quadro del pittore locale Giannino Fatigati, testimone oculare della cerimonia.

Lo vedete qua sotto. L’opera consente di ammirare il tratto vivace e realistico dell’allora giovane Fatigati, al contempo testimone e interprete di un evento che sa essere importante per l’ambiente vallese e per quel sacerdote non ancora quarantenne. Egli offre un’efficace e suggestiva istantanea di quella cerimonia; immortalandola per i posteri, permette anche a noi di essere presenti a quella giornata.

A sin., mons. De Luca, al centro, mons. Cacucci, a des., mons. Miniero
Consacrazione episcopale di mons. Nicodemo, 8 aprile 1945 – (G. Fatigati, Olio su tavola, cm 43 x 33)

Enrico Nicodemo arrivava a quella consacrazione dopo aver operato in diocesi per quasi vent’anni. Era, infatti, diventato sacerdote nell’estate del 1928, ordinato da mons. Cammarota in quella stessa cattedrale. Aveva subito mostrato le sue non comuni doti culturali e organizzative divenendo, già l’anno dopo, teologo della cattedrale, successore del can. Giuseppe di Vietri, morto prematuramente nel giugno 1926.

In pochi anni, aveva rivestito vari ruoli e cumulato diverse cariche. Era stato il responsabile dell’ufficio catechistico diocesano, l’assistente ecclesiastico della giunta di Azione Cattolica, il direttore del Bollettino Diocesano edito dalla curia, il primo titolare della cattedra di religione nel ginnasio “Parmenide” di Vallo dopo la Conciliazione. Insegnamento mantenuta anche nel ’35 con l’istituzione del liceo. Efficace nella predicazione e in generale nella spiegazione delle Scritture, aveva anche insegnato il greco nelle classi ginnasiali del locale seminario. I due vescovi succedutisi in quegli anni – Francesco Cammarota e Raffaele De Giuli – gli avevano dato piena fiducia, per il rigore, la preparazione e l’efficienza operativa. Era così diventato Delegato generale del primo, dal 1933 al ’35, e Vicario del secondo, dal 1940 e per tutti i difficili anni della guerra. Nella gestione degli uffici e degli affari curiali aveva dimostrato precisione e capacità decisionali nonostante la giovane età (era nato nel 1906), apparendo quasi come un vescovo.

In sostanza, don Enrico era subito diventato protagonista della vita pastorale della diocesi di Capaccio-Vallo (dalla fine del ’45, denominata di “Vallo della Lucania”) e, fino alla morte di Cammarota – nel ’35 – anche di quella di Policastro. Le linee direttrici di quella pastorale erano incentrate sulla definitiva applicazione del modello tridentino a una diocesi ancora refrattaria – sia nei sui sacerdoti che nelle numerosissime comunità di fedeli – alle disposizioni normative e organizzative del vescovo.

Nicodemo si era impegnato, in particolare, nell’opera di riforma della pietà popolare. Ai suoi occhi di teologo, il modo col quale i fedeli locali mostravano e vivevano la loro religiosità era troppo legato alle forme della tradizione, quindi materialistico, sentimentale, inutilmente chiassoso, espressione di una fede superficiale, tutta esteriore e poco interiorizzata, venata di superstizione e, non di rado, di elementi di paganesimo. L’obiettivo, per lui, era stato fin dall’inizio quello di trasformare i “fedeli per tradizione” in “fedeli per convinzione”. Gli strumenti per farlo erano costituiti dalla diffusione capillare in ogni parrocchia, e in ogni ambiente sociale, dell’insegnamento catechistico, per garantire la vera conoscenza della fede, e la nascita in ogni comunità dei gruppi dell’Azione Cattolica, ritenuti in grado di rompere il clima religioso della parrocchia, tradizionalistico e retrivo, legato agli interessi locali dei notabili e dello stesso clero.

Don Enrico Nicodemo alla fine degli anni '20 - (Foto L. Tancredi, Luci di un'anima..., Cantelmi, Salerno, 1990)
Don Enrico Nicodemo alla fine degli anni ’20 – (Foto L. Tancredi, Luci di un’anima…, Cantelmi, Salerno, 1990)

Queste convinzioni avevano portato il teologo a un incessante impegno nel campo dell’apostolato dei laici. Dopo la crisi del ’31 tra il regime e la chiesa, causata proprio dall’Azione Cattolica, Nicodemo aveva assunto l’incarico di assistente della giunta di AC, ponendosi alla guida dell’azione di sviluppo di questa forma di apostolato nelle diocesi di Capaccio-Vallo e di Policastro. Questo aveva consentito all’AC locale di rinascere e diffondersi in gran parte delle parrocchie, radicandosi nell’intero territorio diocesano. Il successo era dovuto anche ad altri protagonisti e ad alcuni importanti collaboratori del giovane teologo, come don Pietro Guglielmotti, don Francesco Signorelli e don Fulvio Parente. Tutti giovani come lui e convinti della validità di quella forma di apostolato laicale che era l’unica consentita – meglio, “tollerata” – dal regime fascista. Non minore era stato l’apporto dei laici nel dirigere il movimento in diocesi, tra cui spiccano nomi come l’avv. Mario Di Dario, il dottor Guglielmo Caporale e il giovane Mario Valiante. L’esperienza dell’Azione Cattolica era stata così, negli anni Trenta e anche nel periodo del conflitto, una delle più significative in ambito ecclesiale e sociale. Da essa il movimento laicale avrebbe tratto vigore anche nel dopoguerra.

Si può ben dire che il giovane Nicodemo, seguendo le convinzioni pastorali dei suoi vescovi e aggiungendovi le proprie insieme a una buona dose di impegno organizzativo, sia stato “l’uomo dell’Azione Cattolica”. Lo testimoniano le decine di associazioni, soprattutto giovanili, nate in quegli anni anche nelle parrocchie più piccole e disagiate, oltre alle numerose attività sociali svolte nei vari paesi e agli incontri con responsabili e propagandisti nazionali. Basti pensare che, nella seconda metà del decennio, si contavano più di 40 associazioni di Gioventù Femminile e circa 20 di Gioventù Maschile, quella che allora si chiamava in sigla GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica), con oltre 2000 soci.

Policastro, 1935. Corso per dirigenti G.F. e D.C. - Tra i seduti, al centro, mons. Cammarota, a des., d. E. Nicodemo, a sin., don B. D'Agostino
Policastro, 1935. Corso per dirigenti G.F. e D.C. – Tra i seduti, al centro, mons. Cammarota, a des., d. E. Nicodemo, a sin., don B. D’Agostino
Maggio '37. 25° dell'incoronazione della Vergine del Granato di Capaccio. Seduti, al centro, card. Ascalesi, a sin., De Giuli, a des., F. Guazzo. Nicodemo, il primo in piedi a sinistra (Foto A. Ragni)
Maggio ’37. 25° dell’incoronazione della Vergine del Granato di Capaccio. Seduti, al centro, card. Ascalesi, a sin., De Giuli, a des., F. Guazzo. Nicodemo, il primo in piedi a sinistra (Foto A. Ragni)
Prime comunioni a Capaccio. 1940 ca. Nicodemo, al centro, tra mons. F. Guazzo, a sin., e mons. G. Guazzo, a destra. (Foto A. Ragni)
Prime comunioni a Capaccio. 1940 ca. Nicodemo, al centro, tra mons. F. Guazzo, a sin., e mons. G. Guazzo, a destra. (Foto A. Ragni)

Ricca di tante esperienze, la lunga attività sacerdotale in diocesi di don Enrico costituisce il periodo in cui consolida la sua formazione umana e spirituale, quello in cui in sostanza si prepara all’episcopato. A ragione disse un altro vescovo di Vallo, mons. D’Agostino, nel ’73, commemorandolo a un mese dalla scomparsa, che la diocesi di Capaccio-Vallo era stata la “culla del suo episcopato”. E una culla, aggiungiamo noi, nella quale aveva lavorato instancabilmente e dove era stato amato – per cultura, capacità, spirito organizzativo – ma anche temuto, se non odiato, per il rigore spesso inflessibile e una certa rigidità caratteriale legata anche alla serietà con cui assumeva e teneva i suoi incarichi ecclesiali.

Annunciandone la nomina, a gennaio del ’45, il vescovo diocesano ne sottolineò la cultura, l’esperienza e la fedeltà, aggiungendo che si trattava di un “confratello a cui abbiamo sempre riserbato cordiale e sincera stima per l’integrità della vita, per l’esemplare pietà, per la vasta dottrina, per lo zelo indefesso, per il sicuro prestigio anche nel mondo laico”.

La stima di De Giuli era sincera. Da lì a qualche mese sarebbe stato proprio lui il vescovo consacrante nella cerimonia in cattedrale dell’8 aprile, assistito dai vescovi di Policastro, Federico Pezzullo, e di Cava e Sarno, Francesco Marchesani.

Molti dei contenuti della pastorale del Nicodemo vescovo, sia a Mileto – fino al ’52 – sia a Bari – nei successivi vent’anni –, hanno in questo periodo le loro radici. Lo testimoniano il rilievo dato all’insegnamento catechistico, all’Azione Cattolica, alla riforma della pietà popolare e della presenza dei laici nella Chiesa e nella società. Ma nei trent’anni di episcopato, il “nostro” Nicodemo avrebbe assunto incarichi di rilievo nazionale e non solo, divenendo una figura di notevole prestigio nell’episcopato italiano, ascoltato e considerato da non pochi dei suoi confratelli, collaborando a lungo col cardinale Siri. Tra questi incarichi, dal ’55 fu membro della Commissione episcopale per l’alta direzione dell’Azione Cattolica Italiana; dal ’57 fu Vicepresidente del Comitato per le settimane sociali dei cattolici d’Italia; dal ’66 fu Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana (forse l’incarico più importante, anche per il rilievo che la CEI andava assumendo nel postconcilio). Nel ’67 venne eletto al Sinodo dei vescovi in rappresentanza dell’episcopato italiano.

Anche il Concilio Vaticano II lo avrebbe visto come attivo partecipante con vari interventi in aula. Negli anni precedenti era stato membro della Commissione preparatoria della disciplina del clero e del popolo cristiano e, durante i lavori dell’assise romana, sarebbe stato un componente della corrispondente commissione conciliare.

Prima foto ufficiale da vescovo di Mileto - Aprile 1945 (Foto G. Di Vietri)
Prima foto ufficiale da vescovo di Mileto – Aprile 1945 (Foto G. Di Vietri)

In quel giorno dell’aprile del ’45 non si poteva prevedere una tale “carriera”, anche se la giovane età (con soli 39 anni era allora il più giovane vescovo italiano), le capacità e l’esperienza maturata forse lasciavano presagire un futuro assai promettente. Una parte non irrilevante di quel futuro, senza sopravvalutarne la portata o ragionare col senno di poi, ha le sue più profonde radici nella sua diocesi di adozione, Capaccio-Vallo, e in quella di nascita, Policastro, essendo originario del piccolo paese di Tortorella. Diocesi con le quali continuò a rimanere in contatto negli anni di episcopato, tornandovi ripetutamente in varie occasioni.

Il quadro biografico sopra sintetizzato – e delineato con un respiro molto più ampio ed esaustivo nel volume di cui vedete qui sotto la copertina – rispondeva alle curiosità dei partecipanti alla presentazione di due anni fa e, a buon ragione, a quella di mons. Cacucci, venuto da Bari a Vallo in cerca delle radici di chi lo aveva generato al sacerdozio e, quindi, sul piano spirituale, anche delle sue.

Author: manlio morra

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